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La Lega lancia la sfida sulle nomine: gli obiettivi del Carroccio sulle partecipate

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Perché leggere questo articolo: La Lega lancia la partita nomine. Che sarà la grande sfida del governo in primavera. Dall’esito di questa sfida si capirà molto dei rapporti di forza nel potere pubblico dei partiti della maggioranza.

Non c’è avanzata di Fratelli d’Italia a Milano senza compensazione per la Lega a Roma. Così si può riassumere la recente nota della Lega sulle nomine delle partecipate prossime ad aprirsi. Chiusa l’epoca del “metodo Draghi“, verticistico nel concentrare su Palazzo Chigi le nomine alle partecipate, Matteo Salvini e i suoi vogliono giocare un ruolo. Consci che Fdi e Giorgia Meloni vorranno partecipare nelle grandi partite del Nord (assessorati, sanità, partecipate) i leghisti vogliono riaffermare i processi classici sulle nomine e puntare a essere presenti nei Cda delle aziende di Stato.

Dal “metodo Draghi” al derby Lega-Fdi sulle nomine

La Lega chiede “discontinuità totale” in particolar modo su Eni e Enel, prossime al rinnovo dei vertici, e sulla Rai che andrà a rinnovo nel 2024. Ma il grande gioco delle aziende partecipate è a tutto campo. E parte da una questione di metodo.

Le nomine, infatti, formalmente seguono un processo che parte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Oggi guidato dalla Lega con Giancarlo Giorgetti. Palazzo Chigi e il Mef devono lavorare assieme alle “short list” dei vertici e dei candidati per i ruoli di presidente, amministratore delegato e consigliere delle varie aziende a cui il governo poi, nella figura del premier soprattutto, attinge per scegliere. Nell’era Draghi questo processo era compresso tra l’ex direttore generale del Tesoro Alessandro Riverail ministro iper-draghiano Daniele Franco, il consigliere economico di Palazzo Chigi Francesco Giavazzi e Draghi stesso. Oggi diversi sono gli appetiti e gli obiettivi dei partiti.

La Lega vuole contare di più e chiudere l’era Pd

La Lega vuole far pesare un radicamento crescente nello Stato e vedere figure a lei legate entrare nei consigli di amministrazione di Eni, Enel e Poste, prima di lanciare la sfida Rai nel 2024. Diversa la questione di Leonardo: qui Giorgetti dialoga come azionista con il Ministro “tecnico” della Difesa, Guido Crosetto. E la Lega mira ad avere posti in Cda mentre per il ruolo di ad la riconferma di Alessandro Profumo è in ballottaggio con la promozione di Lorenzo Mariani da Mbda Italia.

Le partecipate sono ritenute, questo il mantra del Carroccio, come “occupate” dalle tornate di nomine in cui a dare le carte è stato il Partito Democratico. Con tatto, la nota recente della Lega ripropone la metafora del “machete” utilizzata dal Crosetto. La linea di Via Bellerio è chiara: via gli uomini del Pd dalle partecipate.

Eni, Enel, Poste: i nomi in ballo

Nel mirino c’è in particolare la figura di Francesco Starace, ad di Enel. La Lega ne contesta la pregiudiziale anti-nucleare e la storica vicinanza a Giuseppe Conte. Mentre per la successione è derby: Fdi vorrebbe spingere Stefano Donnarummaad di Terna, ai vertici di Enel, la Lega punta su Matteo Del Fante, ad di Poste Italiane, da affiancare a un grande nome come quello di Paolo Scaroni per la presidenza. La promozione di Del Fante aprirebbe la partita-Poste, ove la Lega sta cercando un “suo” ad all’interno del top management del gruppo.

In Eni Claudio Descalzi appare intoccabile e potenzialmente in grado di ambire a un quarto mandato da ad. Per la presidenza la Lega vede di buon occhio l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, e aprirebbe una discussione per l’ad solo se Descalzi accettasse di passare in prima persona a una presidenza con ampie deleghe. In questo caso il favorito del Carroccio sarebbe Guido Brusco, direttore  generale Natural Resources del Cane a sei zampe.

Le mosse di Salvini e Giorgetti

Le trattative vedono Lega e Fdi intente, al tempo stesso, in un gioco delle parti che mira a mettere in secondo piano Forza Italia. E a unire Roma e Milano con un filo rosso. Tramontati poteri consolidati come quello dei forzisti a Roma e Comunione e Liberazione al Nord, si aprono spazi di manovra che vanno governati per evitare guerre tra bande.

Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti hanno deciso, da diversi mesi, di far pesare il loro ruolo nelle istituzioni prima ancora che i ridotti consensi elettorali della Lega: nel maggio 2022 il direttore di True News Fabio Massa scriveva che la Lega e Salvini non erano ancora morti e la strategia, togliattiana, di occupazione delle casematte del potere lo conferma. La Lega ha ottenuto lo strategico Mef, aperto alla riforma delle Autonomie nel governo, piazzato il colpaccio dell’elezione di Fabio Pinelli a vice presidente del Csm. Con le nomine vuole fare filotto, creando inoltre un dialogo franco e attivo con Fdi.

Trattative a tutto campo

In quest’ottica si conferma ciò che si era scritto su queste colonne un anno fa, durante la seconda tornata delle nomine dell’era Draghi. L’anomalia rappresentata dal governo di unità nazionale avrebbe riacceso fortemente gli appetiti dei partiti sulle nomine e, comprensibilmente, così è stato. Il piatto ricco del 2023, unito al cambio di sistema che vedrà, per la prima volta dal 2011, il centrosinistra escluso dalla scelta dei vertici delle “fuoriserie” dell’impresa di Stato impone una riflessione politica forte. La Lega, chiedendo discontinuità, pone un tema legittimo.

E la palla ora passa al premier Giorgia Meloni, al sottosegretario Alfredo Mantovano e allo stratega di Fdi Giovanbattista Fazzolarisaranno loro a dover far da pontieri, da qui ad aprile, con la Lega e il resto della maggioranza per decidere le liste delle nomine in arrivo.