Il colpo al Louvre rimarrà negli annali per la sua audacia e per i dettagli quasi surreali emersi durante le indagini. Il 19 ottobre una banda, travestita da operai e a bordo di un camion montacarichi, si è introdotta attraverso una delle finestre della sala 705, la Galleria d’Apollo del celeberrimo museo parigino. Sono bastati solo sette minuti per portare via nove gioielli della collezione dell’imperatrice Eugenia, per un valore stimato di 88 milioni di euro. Gli stessi organizzatori non erano certo criminali d’élite, come dichiarato dalla procuratrice Laure Beccuau: “I loro profili non corrispondono a quelli generalmente associati ai livelli superiori del crimine organizzato”.
L’incredibile leggerezza della sicurezza informatica
Uno degli aspetti più discussi dell’intera vicenda riguarda la sicurezza informatica. Secondo ricostruzioni attendibili, la password utilizzata per accedere al server della videosorveglianza del Louvre era semplicemente “Louvre”. L’intervento documentato di tre esperti di cyber-sicurezza nel 2014 aveva già rilevato la scelta tragicomica e inadeguata di questa password. Non è noto se la parola chiave sia mai stata aggiornata, lasciando però un’ombra pesante sulla serietà dei controlli negli anni seguenti.
Le finestre, l’allarme e una fuga lampo
Ben organizzata, la banda aveva studiato il percorso: il camion elevatore è stato alzato fino ai finestroni della galleria. Due persone hanno sfondato le vetrate servendosi di seghe circolari. Rimangono dubbi sull’attivazione degli allarmi: alcune fonti ritengono che fosse stato disattivato da un mese per guasti tecnici, altre assicurano che abbia funzionato, pur senza impedire il furto. Resta il fatto che la banda è fuggita velocemente, abbandonando diversi oggetti e risalendo sugli scooter per sparire con il bottino.
Una coppia quasi insospettabile e la banda dei piccoli criminali
Tra i principali sospettati figurano una coppia di trentenni con figli, descritti come “quasi insospettabili” – una donna di 38 anni e un uomo di 37, con alle spalle 11 precedenti penali perlopiù per furto. Arrestati dopo il ritrovamento del loro DNA sulla cesta elevatrice usata per la rapina, hanno negato ogni coinvolgimento. L’uomo si è rifiutato di collaborare, mentre la donna, in lacrime davanti al giudice, ha dichiarato di temere per la propria vita e quella dei bambini. “Ci sono profili poco conosciuti nella criminalità organizzata che fanno abbastanza rapidamente il salto verso crimini estremamente gravi“, ha spiegato Beccuau.
L’indagine e le incriminazioni
Sono stati formalmente accusati di furto organizzato e cospirazione criminale l’uomo e altri due complici con precedenti per piccoli furti, mentre la compagna risponde di favoreggiamento e complicità. Altri membri della banda restano a piede libero: almeno un quarto autore del colpo non è stato ancora individuato dalle autorità francesi che, nel frattempo, continuano a cercare altre tracce.
I gioielli mancanti e le ipotesi sul loro destino
Nonostante siano passate settimane, il prezioso bottino non è stato recuperato. Tra gli oggetti scomparsi spicca il diadema di perle appartenuto all’imperatrice Eugenia e il set di collane di zaffiri e orecchini della regina Maria Amelia. Le autorità ipotizzano che, per l’assenza di un mercato legale per gioielli così celebri, possa anche verificarsi che essi vengano abbandonati o, peggio, distrutti. “Si stanno esaminando tutte le possibilità del mercato parallelo che potrebbero consentire la vendita di questi gioielli, che spero non avvenga a breve”, ha dichiarato la procuratrice Beccuau. Il ministro dell’Interno Laurent Nuñez mantiene un cauto ottimismo: “Ci sono diverse ipotesi riguardo ai beni, compresa quella che siano già stati venduti all’estero”, ma resta fiducioso che possano essere ritrovatti.
Mancanze e responsabilità: il mea culpa delle istituzioni
L’indagine interna sulle procedure nel museo è tuttora in corso. Dopo le prime dichiarazioni rassicuranti, la ministra della Cultura ha ammesso: “Ci sono state mancanze nella sicurezza”. Il caso ha riacceso il dibattito sulla protezione dei capolavori nazionali e sul rischio di sottovalutazione delle minacce informatiche e materiali che circondano tesori di tale valore. Il colpo al Louvre, con le sue falle analogiche e digitali e la sorprendente partecipazione di una coppia insospettabile, ci ricorda che perfino le istituzioni iconiche non sono immuni da leggerezze. E che a volte, dietro una password semplice o una finestra lasciata incustodita, può celarsi la chiave di una delle rapine più clamorose della storia recente.
