Nel coro degli indignati speciali contro la Super League o il calcio dei ricchi spicca, per assenza, la voce dell’uomo che oltre un quarto di secolo fa sognava di fare quello che Agnelli ha fatto oggi: mettere insieme i club più ricchi e titolati d’Europa e farli sfidare in continuazione per moltiplicare emozioni, sfide e soldi. Silvio Berlusconi non ha preso parte al dibattito contro la ‘sporca dozzina’ (così ribattezzati in Inghilterra i 12 fondatori della Superlega).

Berlusconi zitto e dagli archivi esce una sua intervista del 1988 nella quale già spiegava come nelle coppe europee “prevalga l’imponderabile” e questo è un problema per chi investe: “Dobbiamo trasformarle in un campionato continentale, con certezze gestionali ed economiche per le società”.
Berlusconi “pioniere” della Superlega
Era così convinto dall’idea che qualche anno più tardi aveva messo a studiarla alcuni degli uomini migliori a lui legati: Paolo Taveggia, Rodolfo Echt (poi pioniere con Tele+), Andrea Locatelli e il compianto Marco Bogarelli. Il format del ‘Progetto Gandals’ – così era stato chiamato il dossier – prevedeva un nucleo di 12 grandi club europei come fondatori e due livelli: una superlega d’elite dove far confluire le squadre con meriti sportivi acquisiti nel corso degli anni e poi una Pro-Cup dove mettere le altre in un sistema aperto, che non precludeva dalla partecipazione ai campionati nazionali (anzi) e che si poggiava su un processo di divisione dei ricavi dai nascenti diritti televisivi il più possibile largo.
Non se ne fece nulla perché la Uefa corse ai ripari e modificò rapidamente il format della Champions League che da pochi anni aveva preso il posto della vecchia Coppa dei Campioni. Diede più slot a nazioni e squadre guida, allungò i calendari e fece arrivare una pioggia sempre crescente di denaro nelle casse dei club che cominciarono a sostenere costi sempre più alti.
