Home Sports Export a picco: il made in Italy, nel calcio, non vale niente

Export a picco: il made in Italy, nel calcio, non vale niente

Export a picco: il made in Italy, nel calcio, non vale niente

Compriamo da Brasile, Argentina e Francia. Vendiamo a Malta e in Romania. Non ci vuole un economista per capire che è un bel problema

Dal Sudamerica preferibilmente, oppure da una delle botteghe più care del mercato europeo. Ecco dove vanno a fare la spesa le nostre squadre di calcio, con bilanci sempre più asfittici ma un modello di business che continua a vivere come se si fosse negli anni Novanta e non in un periodo prolungato di vacche magre. La mappa delle traiettorie dei mercanti del calcio tratteggiata dal Cies è impietosa con la Serie A che è il secondo campionato per calciatori importati dall’estero alle spalle della Premier League (636 nel solo 2019) e solo 26° nella classifica di chi i suoi talenti riesce a piazzarli all’estero. Lontanissima dal grande produttore di giocatori che continua a essere il Brasile, ma anche da tornei europei che fanno parte come noi delle Top5 come Francia (ne ha sei volte tanti), Inghilterra, Spagna e Germania. Il report del Cies è interessante perché evidenzia impietosamente uno dei difetti strutturali del nostro calcio. Siamo grandi compratori senza riuscire ad avere una bilancia dei pagamenti in equilibrio perché il nostro export funziona poco e male. Per dare un altro parametro, la realtà cui nel 2019 abbiamo venduto più calciatori è stata Malta seguita da Romania, Francia, Svizzera, Turchia e Slovenia. Gli altri, ovvero inglesi, francesi, spagnoli e tedeschi mandano piedi buoni anche e soprattutto negli altri tornei di riferimento ricavandone, oltre a una crescita professionale dei diretti interessati, anche un adeguato giro d’affari essendo quelli i mercati più ricchi.A noi non riesce, mentre in fase d’acquisto difficilmente riusciamo a scovare per tempo talenti da valorizzare e poi rivendere. Non è un caso le principali rotte per l’Italia siano le solite: Brasile, Argentina e Francia. Un po’ come tradizione, senza essere fin qui riusciti ad intercettare i cambiamenti e l’emergere di nuove realtà nell’Est Europa.