Home Politics Il falso potere di Claudio Durigon. Chi fa le nomine nella Lega di Salvini?

Il falso potere di Claudio Durigon. Chi fa le nomine nella Lega di Salvini?

Durigon tutte le gaffe

Il “ras delle nomine”. Difeso a spada tratta da Matteo Salvini qualunque cosa faccia. Ci deve per forza essere qualcosa sotto: quanto conta davvero Claudio Durigon e perché lo hanno fatto fuori? La realtà – fuori dai riflessi condizionati giornalistici classici – è banale: lo hanno fatto fuori perché ha commesso una serie di cappellate infinite, una via l’altra. Il suo potere che da Latina si è dipanato verso Roma? Invenzioni. È il normale potere di un (ex) sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze nominato in quota Lega dentro un governo di Große Koalition (pure troppo) con il Carroccio che deve, per forza, riconoscere al centro-sud Italia e ai suoi elettori e rappresentanti ruoli di governo. Nella circoscrizione 02-Lazio dove Durigon è stato eletto, il partito di Matteo Salvini è volato al 15 e rotti per cento nel 2018.

Lega, negli scandali Salvini difende tutti: i casi Durigon, Rixi, i commercialisti, Savoini

E il riconoscimento è arrivato con la delega al Gioco. Salvini che lo difende a prescindere? “Non conoscete Matteo” è la risposta dentro il Carroccio. Difende tutti e sempre. E parte un elenco di “case history”: Rixi, Centemero, Manzoni, Di Rubba, Savoini, l’assessore armato di Voghera. Il leader di via Bellerio non ha mai scaricato nessuno se si esclude in “gioventù” la saga della famiglia Bossi o gli attriti pesanti con Flavio Tosi. Ma in quei casi era battaglia politica per il controllo di “casa”, non tradimento della truppa o dei generali.

Claudio Durigon, le bufale sul potere dell’ex sottosegretario

A raccontare a True-News chi è davvero Durigon ci hanno pensato i suoi colleghi: di maggioranza, di partito e di opposizione. Domanda secca: chi ha “piazzato” in questi mesi il “ras delle nomine” della Lega? Chi sono i suoi fedelissimi? Risposta altrettanto secca: nessuno. Nemmeno un nome da spendersi per un retroscena fra quelli chiamati in una partecipata di Stato, incarichi parlamentari, authority, un prefetto, qualunque cosa. Che nessuno lo sappia? Tutti temono Durigon a Roma, anche i suoi nemici, e non parlano? È credibile o invece potrebbe essere questa la verità?

Mef, arriva il super avvocato Federico Freni

Il suo successore al Mef, Federico Freni, che arriva dal suo stesso staff? Una “copertura” di Durigon ha mormorato qualcuno nelle prime ore. Altra invenzione. Freni è un super avvocato amministrativista romano, trasversalmente stimato, che si è avvicinato alla Lega per ragioni professionali qualche anno fa, curando interessi relativi al diritto pubblico e amministrativo del partito.

Claudio Durigon, le dimissioni? I suoi errori

Ecco quindi che il quadro cambia. Durigon i guai se li è cercati tutti da solo. L’ultimo e mediaticamente il più grave quello sul parco Falcone e Borsellino da intitolare a un membro della famiglia Mussolini. Una polemica di cronaca locale che diventa il “caso” nazionale dell’estate. Va aggiunto un dettaglio: la Lega che nel 2018 ha sfondato al sud nel cuore degli elettori è una Lega che a livello di organizzazione nel Mezzogiorno ha fatto e fa acqua da tutte le parti. Anarchica, per certi versi, senza disciplina. Con i militanti di “Noi con Salvini”, spesso ex democristiani o ex missini, che già dal 2016-17 sparavano a zero sul nord per l’assenza di fondi, di attenzione, di proposte e iniziative legislative per il sud. Sono volate querele. Nel Carroccio c’è chi sottolinea questo aspetto sugli “scandali” del partito sotto Roma. La narrazione sul politico di latina e i suoi “lunghi tentacoli” invece potrebbe aver contribuito a ingigantirne la figura di Grande Vecchio, esporlo anche agli attacchi e di conseguenza portarlo alle dimissioni più facilmente. In politica non si chiede il “licenziamento” di chi non conta nulla, del resto, ma dei vertici e delle posizioni apicali sì. È successo con la campagna stampa del Fatto Quotidiano in estate, passando per gli “scoop” di Fanpage. L’audio in cui il sottosegretario si vanta di aver “messo” a nome della Lega il comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, ai vertici delle Fiamme Gialle di non essere quindi minimamente preoccupato dalle inchieste sui fondi e soldi del partito.

L’audio su Zafarana: cosa dicono i magistrati

Nomina vera o falsa? La Procura di Milano ha prima messo a tacere la polemica già ad aprile 2021 confermando “totale fiducia nella GdF” con cui sono state condotte le inchieste per esempio sulla Lombardia Film Commission (uno degli ipotetici “rami” del caso 49 milioni di euro). Mentre a Fanpage, con una forzatura del diritto non da poco, nelle ultime 72 ore è stato prima ordinato di oscurare i video originali dell’inchiesta “Follow the Money” senza che sul direttore Francesco Cancellato o sui suoi giornalisti fosse aperto alcun fascicolo con ipotesi di reato, e poi revocato il sequestro degli stessi dal gip di Roma, Claudia Alberti.

Come che sia, esiste l’ipotesi più che credibile che Durigon abbia mentito sul generale della Guardia di Finanza per apparire più “grosso” di quanto in realtà non fosse. Sbandierare bufale per sembrare potenti è un vecchio classico della politica, romana e non. Inoltre il comandate Zafarana è tirato per la giacchetta un po’ troppo spesso di recente. Da Durigon fino ai verbali dell’avvocato Piero Amara – il depistatore seriale o super testimone nei processi Eni? – che lo inserisce nell’elenco degli appartenenti alla presunta “Loggia Ungheria” insieme a decine di politici, magistrati, imprenditori, professionisti. La nuova massoneria o un’altra balla colossale? Chi può dirlo. Certo Amara mette insieme nomi che nella vita si sono combattuti senza esclusione di colpi, altri che si odiano personalmente e che però troverebbero finalmente la pace dentro la Loggia, riconoscendosi fra adepti con la frase: “Sei mai stato in Ungheria?”.

Scandali e scandalicchi a parte, nella Lega di Matteo Salvini c’è comunque da capire chi “decide”, chi “parla”, chi si “consulta” con i big. Sulla partita nomine di Stato (Cdp, Eni, FS etc) è noto che con Mario Draghi l’unico ruolo, peraltro marginale, lo abbia avuto il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti. Soprattutto all’inizio del governo e sulle nomine meno pesanti – assicurano alti dirigenti leghisti. Il premier tiene strettamente la barra a dritta sulle nomine con una bussola molto “personale”: dove non si pensa di intervenire con forza nell’ambito del Recovery Plan c’è continuità, anche nei “manager di Stato”: è il caso dell’Agenzie delle Entrate che ha visto confermare il suo Direttore Ruffini (che peraltro ha lavorato alla grande negli ultimi anni sia su recupero evasione fiscale che digitalizzazione pratiche), o delle Dogane e Monopoli con la conferma dell’economista Marcello Minenna. Dove il Recovery deve invece sfasciare equilibri e prassi del passato, c’è discontinuità totale: in Ferrovie, in Cassa Depositi e Prestiti. Altra stella polare di Draghi? Attenzione al gender balance negli organi sociali delle società pubbliche.

A lavorare per il premier su questi dossier sono i suoi di fedelissimi: il capo di gabinetto Antonio Funicello, il sottosegretario di Stato Roberto Garofoli e il Direttore Generale del Tesoro, Alessandro Rivera, l’uomo macchina del Mef.

L’uomo di Matteo Salvini a Roma è il senatore Alberto Bagnai

Poi ci sono le “altre” nomine. Incarichi negli uffici parlamentari, le varie authority italiane. E a quanto risulta l’uomo che nella Lega può andare a parlare – non decidere, ma consultarsi sì – su mandato di Matteo Salvini è il senatore Alberto Bagnai, si racconta nel partito. L’economista di formazione post-keynesiana, uscito dallo stesso Dipartimento dove si è formato Mario Draghi alla Sapienza di Roma, diventato famoso anche a livello mediatico – un blog seguitissimo, libri, televisione, convegni – per la sua opera di divulgazione dal 2011 in poi sulle storture strutturali dell’Eurozona e dei trattati europei da Maastricht in poi, si è avvicinato alla Lega intorno al 2017 ed è stato candidato in Toscana nel 2018, nonostante un passato di vicinanza alla sinistra più o meno radicale.

Salvini chiama Bagnai e gli può conferire il mandato di andare a parlare con gli stessi Garofoli e Funicello per consultazioni. Basti ricordare che fu di Bagnai il discorso più appassionato in Parlamento a difesa di Salvini e contro Giuseppe Conte dopo la crisi del Papeete. Come è sempre lui l’uomo più adatto in televisione a difendere le posizioni del partito grazie alla dialettica, il gusto per la stilettata. Inoltre vive a Roma da decenni. È vero che Salvini la chiama? “Non commento le voci di corridoio” è la risposta secca di Bagnai raggiunto al telefono, con il dono per la sintesi e i modi spicci che lo caratterizzano quando non gradisce una domanda e che lo hanno reso amato ed odiato su Twitter ben prima di darsi alla politica. Le voci di corridoio però esistono in politica. E dicono che a Roma l’uomo di Salvini è il professore dell’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara. In attesa di altre voci, registriamo queste.