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Chirurgia valvolare, Metra: “Nuove tecniche mininvasive e telemedicina”

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Di Marco Strambi

Con la progressiva copertura vaccinale dei più anziani contro la Covid-19, i reparti ospedalieri di cardiochirurgia stanno organizzandosi per una nuova fase nell’assistenza dei pazienti. Dopo la gestione dell’emergenza dovuta all’esplosione della pandemia, un anno fa, e alla ripresa delle attività nei mesi successivi, ora si guarda al futuro

Anche nelle zone più colpite dal virus, tra cui Brescia, come conferma Marco Metra, Direttore dell’unità di Cardiologia del Civile e Ordinario all’Università di Brescia: «Nei mesi di marzo e aprile del 2020 anche la nostra attività ha subìto un forte rallentamento. Poi per fortuna abbiamo ripreso con continuità gli interventi chirurgici e l’assistenza ai pazienti, anche grazie al mantenimento dei letti presenti in reparto. La pandemia ha però cambiato il nostro modo di lavorare, sicuramente anche per il futuro: penso al ricorso a tecniche mininvasive, come gli impianti per via transcatetere delle valvole aortiche e la riparazione transcatetere della valvola mitrale, oppure al sempre più frequente ricorso alla telemedicina».

Il 2020, l’anno della pandemia

A dicembre dello scorso anno, l’European Heart Journal ha dedicato un supplemento alle conseguenze della pandemia sulla salute della popolazione e in modo particolare sulla medicina cardiovascolare. La rivista dell’European Society of Cardiology sottolinea l’aumentato rischio, sia ospedaliero sia extra-ospedaliero per i pazienti con cardiovasculopatie, ma suggerisce anche le potenziali soluzioni per mitigare il rischio, migliorando la gestione nosocomiale e domiciliare. Il bilancio di un “annus horribilis” che ripercorre anche Marco Metra: «In Lombardia dopo i primi mesi dalla comparsa del coronavirus quattro delle venti unità cardiochirurgiche hanno proseguito la loro attività, diventando “hub”, mentre le restanti hanno interrotto l’attività per essere riconvertite in reparti COVID. Tutti i casi urgenti o emergenti sono stati inviati a queste quattro cardiochirurgie, così come i casi che non potevano essere ritardati oltre i 60 giorni. Da maggio 2020 in tutta Italia si è potuto iniziare la ripartenza delle attività che erano state chiuse o sensibilmente rallentate, anche se con difficoltà».

A metà ottobre, secondo una survey della Società Italiana di Cardiologia Interventistica – GISE, su 130 emodinamiche italiane che svolgono procedure di interventistica strutturale,  la ripresa delle attività era comunque sotto il 50% rispetto al periodo di pre-lockdown. Le barriere che hanno impedito la ripresa delle attività sono state, per il 45% dei centri, organizzative (disponibilità di posti letto e del personale), per circa il 30% legate alla gestione delle liste di attesa, il 35% ha evidenziato anche un minore flusso di pazienti derivante da restrittive indicazioni di accesso in ospedale, infine circa il 30% ha segnalato la paura di un contagio ospedaliero da parte dei malati.

Priorità di intervento per le patologie valvolari

In questi ultimi mesi, oltre ai casi urgenti, i primi pazienti ad essere arruolati per essere sottoposti a intervento cardiochirurgico sono stati, tra gli altri, quelli che necessitavano di chirurgia valvolare. «Le malattie delle valvole cardiache interessano un milione di persone in Italia, circa il 10% della popolazione con più di 65 anni, la fascia più colpita da queste patologie» avverte Metra. «Tra le malattie delle valvole cardiache, la stenosi della valvola aortica e l’insufficienza della valvola mitralica sono nettamente le più frequenti. L’impatto sulla salute e sulla qualità di vita dei cittadini è importante soprattutto per le persone in età avanzata, in cui la malattia è più spesso severa e invalidante».

Generalmente le malattie delle valvole cardiache sono poco conosciute e trascurate: solo il 5% degli italiani oltre i 60 anni ne ha sentito parlare e ancora meno, il 2%, se ne preoccupa, nonostante le forme più gravi abbiano una prognosi fortemente negativa, simile a quella di molti tumori. Senza trattamento, circa la metà dei pazienti con stenosi valvolare aortica severa sintomatica muore entro due anni dalla diagnosi. I pazienti affetti da rigurgito mitralico severo, se non trattato, vanno incontro ad un rischio di mortalità del 57% a un anno. 

Un minor rischio di infezioni grazie alle tecniche mininvasive

Se circa vent’anni fa la sostituzione della valvola avveniva sempre a cuore aperto, oggi è crescente il ricorso alla TAVI, l’impianto per via transcatetere della valvola aortica (transcatheter aortic valve implantation). È una tecnica relativamente recente, datata 2002 e disponibile su larga scala dal 2007. Il trattamento viene eseguito spesso in anestesia locale, usando una sonda di circa 6 mm di diametro introdotta attraverso un’arteria dell’inguine. 

Anche per la riparazione della valvola mitrale si è assistito ad una vera rivoluzione con l’ingresso 15 anni fa di una tecnica trancatetere di riparazione tramite l’utilizzo di una clip che riduce il rigurgito mitralico. Questa terapia oggi si è affermata come alternativa nei pazienti che non possono essere sottoposti ad intervento a cuore aperto, perche ad alto rischio, migliorandone la qualità della vita.

«Con l’avvento della Covid le procedure percutanee che sostituiscono o riparano con tecniche mini-invasive le valvole cardiache danneggiate in tempo di Covid-19 sono ancora più strategiche: non solo impattano positivamente sulla mortalità e la morbilità, ma rispetto agli interventi chirurgici tradizionali che richiedono circolazione extracorporea e un lungo percorso di riabilitazione e recupero, presentano un rischio minore di infezione da Covid-19 per il paziente e per gli operatori, riducono i tempi di ospedalizzazione e il rischio di complicanze, migliorano considerevolmente la qualità della vita del paziente» spiega Metra. 

Si tratta di pazienti affetti da severe copatologie (insufficienza cardiaca, gravi patologie polmonari, neoplasie, etc.), o già sottoposti a interventi cardiochirurgici, anziani (over 80 anni) o molto anziani (over 90 anni) e molto fragili.

Un maggior utilizzo della telemedicina        

La medicina digitale e il monitoraggio remoto sono stati introdotti anni fa, ma l’implementazione clinica è stata attivata dal lockdown, quando la maggior parte dei pazienti dimessi sono stati trasferiti da una visita clinica “in persona” a una visita virtuale via telefono o video consulto. «Per le visite di controllo si assisterà progressivamente a un cambiamento radicale a favore della telemedicina» conferma Metra. «Già oggi l’assistenza virtuale e remota al paziente è utilizzata nelle situazioni in cui la trasmissione a distanza può sostituire il contatto diretto, sia con la telemedicina (inclusa diagnosi remota, monitoraggio, prescrizione di farmaci) sia con la medicina digitale (l’applicazione di tecnologie a supporto nella gestione della malattia). Si tratta di un cambiamento radicale nell’assistenza al paziente, che si accompagnerà ancora a lungo».