Home Future Gps e smartphone, i nostri dati valgono 12 miliardi di euro

Gps e smartphone, i nostri dati valgono 12 miliardi di euro

Gps e smartphone, i nostri dati valgono 12 miliardi di euro

Decine di aziende si contendono un mercato enorme, tutto basato sulla nostra posizione. O meglio, sui dati relativi ai nostri spostamenti e alla geolocalizzazione dei nostri dispositivi.

Il business della nostra posizione

Un settore che vale 12 miliardi di dollari, secondo alcune stime e che attrae aziende di vario tipo. C’è chi mette insieme i dati, chi li aggrega, chi li mette in vendita e chi li analizza. Il tutto interessa più di un miliardo e mezzo di utenti, con alcuni player in grado di smuovere enormi moli di dati personali.

Tra questi c’è Near, con informazioni riguardanti “1,6 miliardi di persone in 44 paesi”. Oppure Mobilewalla, attiva in più di 40 paesi, con un totale di circa due miliardi di apparecchi raggiunti e “5 anni di dati” in archivio. Quest’ultimo numero indica la capacità dell’azienda di “seguire” il proprio pubblico per più anni, raccogliendo quindi informazioni più complete e utili. E quindi da vendere a caro prezzo.

Altri nomi? Scorrendo la lista del sito specializzato The Markup, troviamo Foursquare, Oracle e Amazon Web Services, la cloud di Amazon; ma sono soprattutto i nomi sconosciuti a dominare il settore. Brand come Gimbal, Blis e 1010Data, sconosciuti ai più ma in grado di lucrare su informazioni spesso sensibili.

Il viaggio dei dati personali: ecco come funziona

Com’è possibile che delle aziende siano in grado di raccogliere dati simili su utenti di mezzo mondo? Nella maggior parte dei casi il tragitto di queste informazioni inizia da un semplice gesto: il nostro, quando accettiamo di condividere certe informazioni con un’app. Avete presente quel banner che compare quando aprite un’applicazione? Ecco, dietro a quel “OK” disinteressato c’è un pezzo di questo business miliardario.

Ma è solo l’inizio. Perché quello che porta dall’utente all’app è solo la prima tappa. Le applicazioni, a loro volta, rivendono o affidano ad altre società, in grado di analizzarle. E che potrebbero continuare il ciclo, vendendole a terzi, ad esempio dagli aggregatori, aziende che comprano e vendono dati in blocco. E così via, all’infinito.

In tal senso, le realtà più note, come Amazon e Oracle, sostengono di garantire la loro “trasparenza” e di lavorare solo con agenti in grado di spiegare come sono entrati in contatto con questi dati. Molte altre, però, sembrano aver costruito un supermercato per i dati personali in cui tutto è in vendita, sempre, da qualsiasi parte del mondo.

Un grande bazar in cui il prodotto non scade mai davvero. Certe informazioni hanno una vita piuttosto lunga e possono essere utilizzate in modo diverso, a seconda dell’azienda e dell’uso che se ne fa. Parliamo di un settore labirintico ed enorme, regolato localmente ma operante in tutto il mondo, e quindi capace di superare regole e leggi. I tentativi da parte dell’Unione europea di correre ai ripari, ad esempio facendo sapere agli utenti quando i loro utenti “vengono trasferiti o analizzati”, non sembrano preoccupare il mercato.

“Sappiamo per certo che i consumatori non agiscono” in questo senso, ha detto uno di loro. “È incredibilmente difficile cancellarsi da centinaia di data broker che non hai mai sentito nominare”.