Home Future Etica e ragione: la sfida di Paolo Benanti per l’Ia italiana di domani

Etica e ragione: la sfida di Paolo Benanti per l’Ia italiana di domani

Etica e ragione: la sfida di Paolo Benanti per l'Ia italiana di domani

Padre Paolo Benanti guiderà la Commissione Algoritmi del governo italiano per contribuire a definire le politiche e le posizioni dell’esecutivo di Roma sul digitale del futuro. A partire dal tema su cui maggiormente gli studi del teologo della Pontificia Università Gregoriana e le apprensioni della collettività si focalizzano: la rivoluzione dell’intelligenza artificiale.

Padre Benanti, un big italiano dell’Ia per il dopo-Amato

Con Benanti il governo Meloni sceglie un successore di peso per Giuliano Amato. Romano, 50 anni, una solida carriera accademica, Benanti è una figura per cui si può dire che l’abito…faccia il monaco! E l’abito è il curriculum di studi di un uomo che ha da oltre un decennio, quando l’intelligenza artificiale era un tema da futurologi e accademici, ipotizzato una via etica per il governo degli algoritmi del futuro. Una via che si unisce, in quest’ottica, con il portato della dottrina sociale della Chiesa e delle encicliche che i Papi dal Concilio Vaticano a oggi hanno consolidato. Mettendo la Chiesa di fronte alla necessità di leggere i segni dei tempi, Papa Giovanni XXIII, Papa Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e, da ultimo, Francesco hanno approfondito il rapporto tra umanità, contesto sociale e dinamiche economiche nell’era che dal bipolarismo lasciava gradualmente il passo alla globalizzazione neoliberista.

Come mettere l’uomo al centro in un contesto di predominanza delle dottrine economiche sui legami sociali e di esplosione della tecnica? Con una “rivoluzione gentile” capace di umanizzare le tecnologie. Rifiutando ogni sentimento oppositivo, capendole e mettendole al servizio della famiglia umana. Questa la “dottrina Benanti” che il teologo ha sempre declinato partendo da un presupposto: la tecnologia può, se governata, emancipare l’uomo. Da Homo sapiens a (Homo + Machina) Sapiens, questo il paradigma che Benanti ha tracciato nels suo libro Le macchine sapienti. Saggio del 2018, anno che per l’approccio del grande pubblico all’Ia appare la preistoria, ma in cui si leggono passaggi di notevole rilevanza. “Il paradigma fondamentale che deve guidare un’etica delle Ia”, scriveva Benanti, “deve essere pensato in termini di cooperazione”. Si all’Ia al servizio dell’uomo e dei processi. No all’Ia sostituta dell’uomo che rischia, altrimenti, di far venir meno il senso stesso dell’umano.

Benanti, consigliere del Papa e dell’Onu

“L’intelligenza artificiale come la stampa, se usata bene è un progresso per l’uomo”, ha detto di recente Benanti a La Stampa, mettendo in guardia dalle tentazioni di declinare in termini unicamente utilitaristici e appropriativi, privi di etica, la rivoluzione della nuova tecnologia. Stupisce che una larga fetta dell’opinione liberale italiana, dal politologo Marco Gervasoni all’economista Michele Boldrin, si sia scagliata contro Benanti e la sua nomina pensando a un profilo più “tecnico” come a una soluzione migliore. Ma pensare all’Ia come a un semplice fatto di codici, dati e sequenze binarie è riduttivo. Parliamo di una grande rivoluzione dell’umano che potrà profondamente impattare i rapporti economici, sociali, collettivi. In definitiva, la stessa definizione di persona, sempre più divisa tra l’Io fisico e l’Io digitale.

La Chiesa, intenta a leggere “il segno dei tempi”, da anni si occupa attivamente di questo processo. Benanti, consigliere del Papa sul tema e tra i 38 esperti indicati dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres come studiosi di livello globale sul tema, ne è un’espressione. Ma non l’unica. “Intelligenza artificiale e guerra” è il titolo dato alla 57esima Giornata della Pace nella giornata di lunedì 1 gennaio dal Vaticano. Francesco, in quest’occasione, ha espresso parole che chiamano, apertamente, la visione di Benanti sul tema dell’Ia “Non possiamo presumere a priori che il suo sviluppo apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli. Tale risultato positivo sarà possibile solo se ci dimostreremo capaci di agire in modo responsabile e di rispettare valori umani fondamentali come l’inclusione, la trasparenza, la sicurezza, l’equità, la riservatezza e l’affidabilità”.

Benanti e la dottrina sociale per il mondo tecnologico

La dottrina sociale della Chiesa da tempo si interessa alle implicazioni ultime della rivoluzione tecnologica. Identifica una prospettiva chiave per interpretarla, ponendo l’uomo al centro dei processi e degli sviluppi legati all’innovazione. Spesso, attori economici, imprese e governo limitano la loro visione all’aspetto costo/opportunità, trascurando l’opportunità di arricchire l’individuo di competenze e prospettive. Parallelamente, nonostante le tecnologie sembrino ridurre la distanza comunicativa, questa persiste e ignorarla potrebbe alterare profondamente i paradigmi dell’interazione umana.

Benanti è un precursore di questi studi, ma non l’unico. Un altro esempio di riflessione sull’innovazione è l’iniziativa “Apostolato Digitale” dell’Arcidiocesi di Torino. Questa ricerca affronta le sfide a lungo termine della rivoluzione tecnologica. Secondo don Luca Peyron, uno dei promotori, la Chiesa riconosce la sfida dell’ambiente digitale su diversi livelli, sottolineando la necessità di comprendere le dinamiche e le implicazioni antropologiche ed etiche.

La visione della dottrina sociale della Chiesa di cui Benanti è interprete è a tutto campo. Secondo le sue strutture concettuali l’innovazione, se guidata da un autentico umanesimo, può portare a un rafforzamento del lavoro, delle prospettive sociali, della lotta alla povertà e delle disuguaglianze, così come all’evoluzione professionale e culturale dei cittadini, contribuendo positivamente al cambiamento globale. Tuttavia, è cruciale comprendere che, sebbene la tecnica possa sembrare neutrale, gli uomini e i loro scopi non lo sono. Dai rischi del dominio delle grandi aziende tecnologiche alla società della sorveglianza e alla digitalizzazione dei rapporti umani, il mondo post-pandemico si è già trovato ad affrontare sfide significative.

La necessità di una riflessione sull’Ia

La scelta della Chiesa di analizzare l’innovazione non solo dal punto di vista economico, ma come agente di cambiamento umano e relazionale, è rara tra le grandi istituzioni globali. Nel prepararsi al futuro, analisi simili dovranno svolgersi parallelamente in tutti i settori, dalla politica all’accademia. Dunque è logico che il governo Meloni si sia occupato di scegliere centrali di competenze come quelle di cui Benanti è portatore per sostituire l’ultra ottuagenario Amato.

Del resto, le critiche o l’ironia di chi (come lo streamer Ivan Grieco) ha provato a indicare come un segno di arretratezza la scelta di Benanti si scontra con la storia di secoli di innovazione. Spessa indicata dai suoi fautori come un modo per tendere a fini superiori. Può essere Dio, può essere la speranza di un futuro migliore, può essere una spinta spirituale indefinita. Ma tutti i grandi pensatori della storia non si sarebbero mai realizzati se non avessero anteposto al servizio di un disegno più grande la loro opera. Basta leggere gli scritti di Leonardo da Vinci, per fare un esempio. O al caso di Guglielmo Marconi.

La lezione di Marconi per il rapporto fede-scienza di oggi

L’inventore della moderna radio, infatti, raccontò che fu in un luogo pervaso di spiritualità come il santuario di Oropa, in Piemonte, che iniziò a capire la profondità delle scoperte che avrebbe poi realizzato. In un passaggio di una lettera che Marconi inviò all’amico poeta Giuseppe Deabate, si legge: “Nell’estate del 1894 dall’alta montagna d’Oropa contemplando il biellese pensai che l’uomo potesse trovare nello spazio nuove energie nuove risorse e nuovi mezzi di comunicazione”.

MARCONI OROPA
La targa che ricorda Guglielmo Marconi a Oropa (gennaio 2024, foto dell’autore)

Il santuario della Madonna Nera, a tal proposito, conserva ancora un’epigrafe incisa in cui si ricorda la connessione tra la sacralità del luogo, l’ispirazione di Marconi e l’idea di una finalità costruttiva della nuova tecnologia. “Possa la telegrafia senza fili, auspice Maria, pacificare i popoli in Cristo”, scrivevano i sacerdoti del Santuario di Oropa nel 1937, anno della morte del grande inventore bolognese, Nobel per la Fisica del 1909. Un segno di un ragionamento serio sulla funzione sociale della tecnologia e sulla sua natura potenzialmente emancipatrice. I cui echi si vedono oggi nel pensiero di padre Benanti. Guida della via italiana alla ricerca di una strategia per governare gli algoritmi di domani al servizio dell’uomo e del suo sviluppo.