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Nei CdA italiani le donne sono il 38%

Nei CdA italiani le donne sono il 38%

Di Claudia Segre, Presidente Global Thinking Foundation

Abbiamo dedicato una Mostra che parla di libero arbitrio e autodeterminazione in un contesto dove la Diversità e l’Inclusione diventano temi portanti di una rigenerazione civile che passa anche dal riconoscimento di un ruolo centrale delle Donne per lo sviluppo del nostro Paese.

Le donne sono quelle che nell’ultimo anno hanno perso di più, in termini di occupazione, di opportunità e di qualità della vita, dando evidenza di quanto una disuguaglianza di opportunità si trasformi in una disuguaglianza di risultato e quindi benessere sociale, nell’ambito della quale la variabile territoriale (il luogo in cui si vive) ha un peso determinante.

Il Covid-19 ci ha catapultati in un momento di grande discontinuità con conseguenze imprevedibili, se non ben governate. Tutti siamo stati obbligati ad aprire gli occhi e forzatamente a capire che le tecnologie e i nuovi modelli di business e di interazione da esse abilitati sono l’unico modo disponibile oggi per lavorare, studiare, interagire, sopravvivere e vivere. Le donne inserite nei contesti lavorativi hanno dovuto imparare a usare piattaforme per lo smart working o per la didattica online per supportare i figli nello studio. Le donne quindi hanno fatto un enorme passo verso la digitalizzazione che uno scenario lineare non avrebbe mai consentito.

Donne che lavorano (in nero e in modo precario)

Nello stesso momento però c’è una fascia di donne che ha realmente subito un dramma inaspettato. Ufficialmente risulta che l’occupazione femminile in Italia sia ancora sotto il 50% (contro il 70% della Germania), ma la realtà è che soprattutto al Sud, dove l’occupazione ufficiale delle donne è solo di circa il 30%, molte donne lavorano, ma in nero o in modo precario e non tracciato. La tecnologia in questi lavori, spesso manuali e non qualificati non è utilizzata. Il Covid-19 sta portando a galla queste realtà. Molte donne, spesso “analfabete digitali”, si trovano ora a casa, magari con i figli piccoli, a dover fronteggiare una realtà pesante: niente più entrate ed i figli da dover supportare nella didattica online a scuola. Molte famiglie però non hanno neanche un PC a casa, si calcolo il 30% in Italia!

Il Covid-19 quindi ha reso più acuta una realtà prevedibile. Ha decretato che le famiglie più fragili lo saranno ancora di più e che solo le aziende e le imprese innovative con personale altamente qualificato potranno sopravvivere. Ma questo non è accettabile e le donne istruite, hanno ora una grande responsabilità. Offrire le proprie competenze per creare una nuova Italia che non lasci più nessuno indietro.

Secondo i dati della World Health Organization nel settore sanitario poi le donne rappresentano il 70% della forza lavoro, tuttavia solo il 25% in posizioni di leadership. In Italia nel Sistema Sanitario Nazionale le donne rappresentano il 63,8% del personale. Sono quindi state quelle più esposte alla pandemia. Vedremo ora se i miliardi del PNRR saranno in grado di riformare il sistema sanitario rendendolo più equo.

In Italia 46 donne ceo, ma…

Secondo un recente studio di European women on boards (EWOB) delle società quotate, oggi l’Italia vanta 46 donne ceo (+14 rispetto al 2019) e 130 aziende con una c-suite “rosa”, ovvero AD o direttore operativo. Un dato incoraggiante, perché si pone poco sopra la media europea con un onorevole sesto posto e superando chi meno te l’aspetti: come Spagna e Germania, ma soprattutto posizionandoci secondi per presenza nei CDA e nei consigli di sorveglianza. Vuol dire che sui livelli apicali si sta lavorando alacremente per una rappresentanza femminile coerente con la popolazione del Paese e il livello di donne laureate e meritevoli, donne che son impegnate nel settore privato come in quello pubblico, per ottenere una piena parità di opportunità di carriera. Ma le donne CEO sono solo il 4% rispetto ad una quota che supera il 20% nei Paesi del Nord Europa. Le Nazioni Unite hanno fissato una scadenza per il 2030 per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere, ma gli studi indicano che nessun Paese l’ha ancora gestita con lungimiranza da un punto di vista normativo e sociale, nonostante le buone intenzioni!

La battaglia a livello europeo per una piena parità di genere necessaria a raggiungere nuovi obiettivi di crescita economica passa dalle quote rosa elettive, che riguardano la rappresentanza politica, a quelle societarie per l’appunto per un accesso ai CDA delle società. Nei Paesi come Gran Bretagna (33%) e Francia (40%) che si son mossi per primi a livello europeo ma vi son oltre una dozzina i Paesi sviluppati nei quali si son fatti progressi su questo tipo di interventi: Australia, Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti. L’Italia si inserisce in un contesto internazionale in cui altri Paesi hanno già favorito, tramite legge o codici di autodisciplina, l’introduzione di quote riservate. I codici di autodisciplina hanno rappresentato per molti di questi Paesi un punto di partenza sui quali poi proficuamente legiferare, ma la strada è tracciata anche per molti dei Paesi in via di sviluppo.

Nei Cda italiani le donne sono il 38%

La legge Golfo Mosca ha rappresentato un’“imposizione giuridica vincolante” ma finalizzata a cambiare un modello culturale che condiziona una piena parità di genere. Quando l’ex legislatore Lella Golfo ha presentato la legge nel 2011, c’erano solo 170 donne nei Consigli di Amministrazione italiani, contro più di 2.700 uomini, un livello del 6%. Oggi il livello è intorno al 38%. Sappiamo che quando si avviano corrette politiche nazionali, che prendono in considerazione anche un approccio egualitario di genere, queste hanno la capacità di rafforzare la  partecipazione femminile nella forza lavoro e migliorare le  chance di salire i vertici delle società. Il concetto di base, comprovato da molte analisi internazionali, e sostenuta anche dal FMI, è che più donne partecipano ai vertici decisionali di una società e nei Consigli di Amministrazione, più la società prospera e produce utili, come ampiamente dimostrato da tutte le ricerche.

E’ indubbio che la Golfo Mosca abbia visto un miglioramento degli utili societari ed anche abbia permesso con la presenza delle donne una maggiore diffusione dei temi della sostenibilità, ai temi sociali ed i criteri ESG cari maggiormente a Millenials e Donne.

Una Legge che si è dimostrata necessaria e che ha colmato un grave ritardo del Paese in tempi rapidi ma ora bisogna preoccuparsi che non solo l’accesso alle cariche apicali ma anche rafforzare la presenza nel middle management e battersi per la parità salariale in tutti i settori.

In sostanza, ogni impresa che discrimina le donne si impoverisce in termini di valori sociali, genio, creatività e resilienza, che nella condivisione di genere portano a risultati eccellenti nella stabilità economica aziendale come in quella famigliare.

Mancata rappresentazione paritaria in politica

Così ad oggi la mancanza di una rappresentanza politica paritaria, e non solo al 35%, ha ripercussioni sulle scelte politiche che sono inevitabili e che si ripercuotono negativamente sulla parte del Paese meno rappresentata, le Donne. Il retaggio culturale che frena una piena uguaglianza di genere si ritrova anche nei partiti, nelle istituzioni pubbliche ed amministrative, senza escludere quelle accademiche.

Un apporto sbilanciato delle istanze sociali ed economiche all’attenzione della politica non favorisce il mantenimento di un focus attento e vigile sull’adempimento dell’Agenda 2030. Cambiamenti rapidi e profondi che necessitano di una risposta: che da un lato deve vedere una forte promozione di investimenti nella formazione e nell’inclusione femminile nel mondo del lavoro, e dall’altro l’esigenza prioritaria di porre il fattore umano al centro di politiche economiche e sociali mirate per servizi di supporto alle famiglie e che favoriscano una conciliazione tra lavoro e famiglia libera da condizionamenti legati a differenze salariali e sistemiche per le Donne.

Non ci sono anni per metter mano a misure che diventano urgenti, ma abbiamo pochi mesi per metter a punto politiche pubbliche che mettano al centro lo sviluppo sostenibile. Ci vuole visione da parte del Governo ma d’altronde l’Agenda 2030 è una strada tracciata con passi ben definiti che chiedono azione e realizzazione di interventi subitanei.

Uno degli aspetti dello sviluppo economico che abbiamo imparato anche dal discorso del nostro Presidente Mattarella in occasione dell’8 Marzo, dove ha ben descritto il peggioramento della situazione occupazionale nel settore nei servizi e non solo, è che “la parità di genere non è solo una grave questione economica e sociale ma appunto una questione culturale ed educativa”. Ed è chiaro, a mio avviso, che lo sviluppo economico del nostro Paese passa dalla piena inclusione sociale, lavorativa e finanziaria delle  Donne.

E se guardiamo alla finanza non sottovalutiamo che secondo un recente studio di Morgan Stanley, nei prossimi decenni negli Stati Uniti avverrà un trasferimento di 30 trilioni di dollari dai cosiddetti «baby boomer» a 75 milioni di millennials. Secondo questo sondaggio, l’88% dei millennials ad alto patrimonio netto sta rivalutando attivamente l’impatto ESG delle loro decisioni di investimento.

L’89% dei millennials si aspetta poi che il proprio consulente finanziario faccia un’analisi dettagliata dei fattori ESG e della storia di un’azienda con tematiche ESG, prima di raccomandare una nuova opportunità di investimento. Nel 2020 il 95% degli investitori millennials era interessato agli investimenti sostenibili, rispetto al 86% registrato nel 2017.

Dalle donne scelte di investimento sostenibili

E poi risulta come le famiglie millennials ed in particolare le Donne avranno un enorme impatto sulle scelte di investimento sostenibili.

Donne risparmiatrici che danno ai temi ambientali, sociali e di governance, ESG, priorità nel 77% dei casi, +8% rispetto agli uomini e che credono nell’opportunità sottolineata da molti analisti che ad aumentare i profitti sia anche la scelta di uniformarsi ai criteri ESG, fidelizzando così la clientela e dimostrando agli investitori l’impegno verso la sostenibilità in termini di Corporate Social Responsability. Donne e Millenials guidano le scelte di investimento sostenibile perché entrambi sono attenti a quelle società che privilegiano nelle loro politiche di CSR e quindi testimoniano nei loro bilanci attenzione alla disparità salariale, al welfare aziendale per la conciliazione lavoro/famiglia e quindi i bilanci di sostenibilità sono strumento catalizzatore di informazione e formazione all’investimento ed alle scelte consapevoli. Donne e finanza sostenibile sono più che solo affinità elettive ma diventano oggi un connubio sempre più forte ed un buon esempio per i giovani. Quindi privarle dell’indipendenza economica e dell’opportunità di una piena occupazione vuol dire rinunciare ad un fattivo contributo di crescita economica, che non possiamo più permetterci.