Cessione del Donbass, garanzie di sicurezza fossili per Kiev e una promessa inedita: Donald Trump irrompe sulla scena internazionale con una bozza in 28 punti che punta a chiudere la guerra tra Ucraina e Russia. Il piano – consegnato ufficialmente a Volodymyr Zelensky, come svelato nei dettagli da fonti statunitensi e ucraine – potrebbe rimescolare il mazzo della grande partita geopolitica, scatenando tanto entusiasmo quanto malumori, a seconda delle scrivanie.
La trama: garanzie alla NATO, il Donbass alla Russia
Andiamo con ordine. Il cuore dell’intesa riposa (e si agita) nelle concessioni reciproche e in una solennità insospettabilmente garantista. Da una parte, Kiev non potrà mai entrare nella NATO – e dovrà sancirlo costituzionalmente. L’Alleanza, specularmente, dovrà inserire nei suoi statuti una clausola che bandisce l’adesione dell’Ucraina. Le forze armate si dimezzeranno a 600.000 uomini e i caccia europei dislocheranno le ali in Polonia.
Ma il passaggio più delicato è la sorte del Donbass: “La Crimea, Luhansk e il Donetsk saranno riconosciute come di fatto russe, anche dagli Stati Uniti”, recita il testo. Kherson e Zaporizhzhia restano “congelate” lungo la linea di contatto (insomma, una nuova cortina de facto), mentre altri territori saranno retrocessi secondo la mappa concordata. Kiev dovrà sgomberare la parte di Donetsk sotto controllo ucraino che verrà convertita in zona cuscinetto demilitarizzata.
Sicurezza e risposta militare: la promessa sull’articolo 5
Ecco però il cucchiaio di miele nella pozione: in cambio delle pesanti concessioni territoriali, l’Ucraina conquista garanzie di sicurezza dal sapore atlantico. Usa ed alleati europei saranno obbligati a trattare “ogni futuro attacco armato significativo, deliberato e sostenuto della Russia” proprio come se colpisse l’intera comunità transatlantica – con la risposta, se necessario, anche militare. Parole pesanti come macigni, che ricalcano l’articolo 5 del Trattato della Nato. La protezione avrà una validità di dieci anni, rinnovabile.
C’è però un labirinto di condizioni e formule. Se Kiev invadesse la Russia o colpisse Mosca/San Pietroburgo senza giustificazione, le garanzie cadrebbero. Se invece fosse la Russia a tornare alla carica, si riattiverebbero sanzioni, annullamento dei vantaggi e pronta risposta coordinata. “Tutte le ambiguità rimaste in sospeso negli ultimi 30 anni saranno considerate risolte”, chiarisce il documento.
Piani economici: ricostruzione e ritorno di Mosca nei consessi globali
Lo schema non è solo militare. Capitolo ricostruzione: Washington e l’Europa investiranno (usando anche 100 miliardi di asset russi congelati ciascuno) per finanziare rinascita ed infrastrutture, suddividendo i profitti — “Gli Stati Uniti riceveranno il 50% dei profitti dell’iniziativa”. Non solo: la Russia sarà gradualmente reintegrata nell’economia mondiale, potrà rientrare nel G8, firmare patti di cooperazione energetica e sarà coinvolta in un secondo fondo di investimento Usa-Russia per progetti specifici. Insomma, una torta tutta sua sul tavolo delle relazioni economiche globali.
Le altre clausole: nucleare, istruzione, umanità
Non manca il nodo nucleare. Kiev confermerà formalmente di non possedere e non sviluppare armi atomiche e la centrale di Zaporizhzhia sarà gestita sotto l’egida AIEA, con l’elettricità equamente spartita tra Ucraina e Russia. Si aggiungono impegni educativi per “promuovere la comprensione e la tolleranza reciproca”, la creazione d’un comitato umanitario per prigionieri, ostaggi e ricongiungimenti familiari e, non ultima, l’organizzazione di elezioni ucraine entro un centinaio di giorni.”Tutte le parti coinvolte in questo conflitto beneficeranno di un’amnistia totale per le loro azioni durante la guerra”, aggiunge il piano. Inoltre, si chiude su: “La sua attuazione sarà controllata e garantita dal Consiglio di pace, presieduto dal presidente Donald J. Trump”.
Le reazioni: tra cauto attendismo e richieste di dignità
Come da copione, la partita diplomatica si è subito incagliata nella spirale delle dichiarazioni. Da Kiev, il presidente Zelensky ha ribadito la necessità di una “pace che rispetti la dignità del popolo ucraino”, incassando la consegna della bozza e dichiarandosi “pronto a lavorare in modo costruttivo” ma senza “approvazione né rifiuto immediato”. Rustem Umerov, segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa ucraino, chiarisce che “il lavoro continua… noi stiamo attentamente analizzando tutte le proposte dei nostri partner e chiediamo lo stesso approccio rispettoso nei confronti della posizione dell’Ucraina”.
Il Cremlino dal canto suo si schermisce: “Mosca non è ancora stata informata dell’accordo di Zelensky di negoziare il piano di pace di Trump”, avrebbe detto il portavoce Dmitri Peskov. Intanto, il premier ungherese Viktor Orban drammatizza la pressione dei tempi: “Le prossime due o tre settimane saranno cruciali”, ammonisce, lasciando intendere che la finestra per la trattativa rischia di chiudersi in fretta.
Un rush contro il tempo: la firma prima del Ringraziamento?
Sul cronometro della diplomazia, il ticchettio è già assordante. “Gli Stati Uniti stanno facendo intense pressioni sull’Ucraina perché accetti il piano di pace” e Trump si aspetta che Zelensky “firmi prima della festa del Ringraziamento”, spirando a presentare l’accordo finale a Mosca entro la fine del mese per chiudere tutto a inizio dicembre. Una strategia definita una “tempistica aggressiva per la firma”, secondo una fonte Usa, che rischia di intrappolare Kiev con il tempo contato per avanzare richieste – o resistere a quelle più dure. E torniamo così all’assunto iniziale: una pace che sposa la “garanzia” per l’Ucraina può rappresentare una svolta oppure una bomba tra le mani, specie considerando le pesanti concessioni territoriali e il rischio che l’accordo venga percepito come una resa mascherata. Come annota il testo, siamo di fronte a “un documento di lavoro”: il clima resta incerto, con la partita che, ancora una volta, si giocherà tra spiragli diplomatici e incudini della geopolitica. Come si risolve tutto questo? Lo scopriremo (forse) tra poche, lentissime settimane.
