Home Sports Perché la Serie A ha (stra)speso sul mercato, ma non è stata la solita ricca scema

Perché la Serie A ha (stra)speso sul mercato, ma non è stata la solita ricca scema

Serie A

Quando il gong è suonato mettendo a tacere le ultime trattative, il calcio italiano si è trovato a fare i conti con il mercato invernale più ricco di sempre. Nell’era della crisi più profonda, con i bilanci sballati dal Covid (e da gestioni allegre del passato) e la prospettiva di altri mesi di cinghia da tirare. Cosa è successo perché proprietari – made in Italy e stranieri – decidessero improvvisamente di mettere mano al portafoglio? Perché il gennaio 2022 è diventato quello del rilancio, incastrato in mezzo a mesi di austerity totale? Secondo gli invidiosi il mondo del pallone ha semplicemente scelto di continuare a vivere al di sopra delle proprie possibilità, ignorando la tempesta e facendo come se il Covid non fosse passato dalle parti degli stadi. Quindi denaro speso a profusione solo per inseguire il miraggio di un miglior piazzamento in classifica, della qualificazione alla prossima Champions League o di una salvezza da strappare con i denti.

Non è così. Ovviamente. La Serie A soprattutto, ma il discorso può essere allargato anche ad altre realtà, si è trovata nella condizione di dover rilanciare o morire. E siccome anche per il pallone l’uscita dal tunnel è alle porte, i presidenti si sono comportati come imprenditori che nel momento in cui si intravede la ripresa programmano investimenti. I circa 200 milioni di euro spesi dalla Serie A in un mese – la metà è della Juventus che è tornata a fare la Juventus -, collocano il nostro campionato alle spalle solo della inarrivabile Premier League inglese (300 milioni) e davanti alla Liga spagnola che si prepara, però, ad un’estate di fuochi artificiali. 

Gli acquisti “pazzi” di Juventus e Inter

Chi critica dice che un’azienda con i conti in rosso, magari piena di debiti, non ha il diritto di spendere decine di milioni di euro. Chi analizza non può non mettere in fila alcuni fatti. Ad esempio, che la Juventus del nuovo corso sta tagliando tutto quello che può a livello di costi strutturali (leggi stipendi), ha speso per talenti giovanissimi e valorizzabili anche a livello di mercato nei prossimi anni e che tutto questo è stato possibile perché in agosto ha rinunciato a Ronaldo, l’asset più pregiato e costoso del calcio mondiale. Idem l’Inter. Come si permette Zhang di prendere il tedesco Gosens girando all’Atalanta una trentina di milioni? Non era con la fila dei creditori alle porte? Di sicuro Suning non è tornata a navigare nell’oro, ma i critici dovrebbero anche ricordarsi che l’Inter in estate ha ceduto, benissimo, i suoi due giocatori più forti. Insomma, la medicina amara è stata presa per tempo e non si può sempre e solo rimanere nel limbo.

Una boccata d’ossigeno non solo per le big

Forse è quello che vorrebbe il partito della (de)crescita felice del pallone italiano, già in difficoltà di suo a tenere testa a una concorrenza internazionale che ha goduto in questi anni di altri appoggi e scelte politiche. Il giudizio finale sulla messe di acquisti di questo mese di gennaio lo darà come sempre il campo, ma già ora non si può non far notare che sia circolato denaro vero, non movimenti di carta. Magari con formule spostare sul futuro come prestiti a 18 mesi e impegni a pagare dal 2023 in poi, però l’epoca delle plusvalenze a oltranza e di alcuni equilibrismi finanziari sembra essere alle spalle. Non ne beneficiano solo le big, è una boccata d’ossigeno anche per il resto della piramide che stava morendo d’asfissia non trovando più compratori per i propri talenti.

E’ quello che andava chiesto ai proprietari dei sogni di milioni di tifosi. Non solo i tradizionali ‘ricchi scemi’, come da storica definizione, ma anche fondi e grandi gruppi di investitori che vengono da fuori. E che giustamente hanno scelto di fare del football un business senza dare troppo retta alle analisi di chi vorrebbe applicata allo sport tricolore un’austerity che si nega altrove.