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LEP dance, cosa sono i Livelli Essenziali delle Prestazioni

LEP dance, cosa sono i Livelli Essenziali delle Prestazioni

Perché leggere questo articolo? Martedì 23 gennaio il senato ha approvato il ddl sull’Autonomia differenziata. L’avvio del disegno caro al ministro Calderoli è subordinato alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. La lunga e travagliata storia del ddl Autonomia resta subordinato alla definizione dei LEP.

Un’approvazione quantomeno scenografica. Martedì, con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti, il Senato ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Le opposizioni, in segno di protesta contro il ddl Calderoli – che definisce le modalità con cui le regioni potranno gestire in proprio alcune prerogative al momento di competenza dello Stato centrale – si sono messe a cantare l’inno di Mameli. Quell0 che i senatori di Pd e 5 Stelle – oltre che l’ignaro e sconsolato Presidente della seduta a Palazzo di Madama – forse non si aspettavano e che dai banchi della maggioranza intonassero a loro volta le note di Fratelli d’Italia. Come due curve, che cantano la stessa canzone. Il Presidente, il leghista Gian Marco Centinaio, ha temporaneamente sospeso la votazione. Per arrivare a una vera Autonomia, manca però un passaggio. Si dovrà passare a definire i LEP. Cosa sono questi arcani della politica?

Cosa sono i LEP

Il provvedimento non è ancora legge ovviamente legge. Il del ddl sull’Autonomia andrà alla Camera. E potrebbe ritornare nuovamente al Senato, se – come è probabile – i deputati apporteranno modifiche. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato approvato al Senato con forti opposizioni. Soprattutto del Partito Democratico, i cui senatori hanno agitato in aula alcuni fogli con stampate sopra le bandiere tricolore italiane. L’eventuale approvazione del disegno di legge non determinerà l’effettivo trasferimento di competenze alle regioni. Il provvedimento di Calderoli si limita infatti a indicare un percorso e delle regole che le regioni dovranno seguire nel negoziare col governo e col parlamento l’attribuzione di poteri e prerogative. L’avvio di queste procedure è subordinato alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP), cioè i servizi minimi che lo Stato deve garantire in ogni parte del suo territorio su settori fondamentali.

La definizione dei LEP e il loro finanziamento serve a prevenire il rischio che l’autonomia cristallizzi o persino aumenti le divergenze territoriali tra le regioni più ricche e quelle più povere. Le critiche dell’opposizione si sono concentrate soprattutto su questo scenario, ma al di là di questo comunque ci sono anche perplessità sull’impatto che un provvedimento del genere potrebbe produrre sul sistema economico e imprenditoriale italiano nel suo complesso, con possibili ricadute negative sulla competitività del paese e sulla gestione delle risorse pubbliche.

La lunga e travagliata storia dell’Autonomia a destra e sinistra

Il semaforo verde all’Autonomia era scontato, visti i numeri della maggioranza Meloni. Il ddl Calderoli ha però alla spalle una lunga e travagliata storia. Il governo festeggia, esponendo i Leoni di San Marco, simbolo della vecchia Liga Veneta, patriarca delle spinte autonomiste sin dalla Prima Repubblica. Le opposizioni tuonano, sventolando provocatoriamente il tricolore, e gridando “all’Italia spaccata” e accusando Fratelli d’Italia di “tradire la Patria”. Al di là dei facili giochi di parole tra il Fdi e il titolo dell’Inno, la storia dell’Autonomia nel nostro Paese è lunga e travagliata. Non passa solo attraverso la definizione dei LEP, ma anche per le scelte della politica. Non solo di destra.

Le lunghe e faticose riforme hanno autonomiste hanno nei decenni fatto i conti coi continui cambi di governo. Nel 1995 per la prima volta i cittadini hanno potuto eleggere direttamente i presidenti della regione. Si è così avviata una forma di “presidenzialismo locale” considerato come anticamera di una maggiore devoluzione di poteri. Nel 2000 poi si è arrivati alla riforma del Titolo V della costituzione, con il quale si è capovolta o la prospettiva dei rapporti tra Stato ed enti locali. A sorpresa l’anno dopo il centrosinistra vinse il referendum abrogativo della riforma. C’è poi stato il dibattito ai tempi della “devolution” e del “federalismo fiscale” leghista, mai messi in pratica. Infine, il II governo Conte – quello giallorosso – aveva creato un fondo da 4,6 miliardi di euro per investire nelle Regioni del Sud che non hanno servizi minimi. Da almeno trent’anni in Italia si discute della stesse cose, che ruotano intorno agli odierni e misteriosi LEP.

LEP dance: il balletto dell’orrore mediatico

Di fatto, il ddl Autonomia dà alle Regioni – se lo richiedono – la possibilità di decidere su 23 settori. Istruzione ed energia, infrastrutture fino alla sicurezza del lavoro. La procedura potrà partire tra non meno di 24 mesi. E’ infatti necessario prima definire i LEP per le Regioni che non ricorreranno all’Autonomia. E qui, apriti cielo. Il testo non è ancora definitivo, ma gli scenari disegnati dai principali quotidiani italiani sono apocalittici. I titoli dei giornali sono abbastanza prematuri, col governo che si è dato almeno 2 anni per definire i LEP. Il Domani titola a tutta pagina: “Medici e governo, sarà fuga dal Sud. Il governo uccide la Sanità pubblica”. Questa è la prima pagina. Basta girare pagina del quotidiano dell’ing. De Benedetti per tornare sulla Terra. Il sottotitolo a pag.2 definisce gli effetti della riforma “imprevedibili”. Al lupo! Al lupo! Con almeno due anni d’anticipo.