Home Politics L’Andreotti nipponico: Abe e la svolta giapponese tra tradizione e ambizioni

L’Andreotti nipponico: Abe e la svolta giapponese tra tradizione e ambizioni

Shinzo Abe

La morte di Shinzo Abe in seguito all’attentato di Nara di oggi ha messo sotto shock il Giappone e privato il Paese del Sol Levante di uno statista che, indubbiamente, con la sua agenda politica ha impostato la più grande transizione per il Paese nel secondo dopoguerra.

La dinastia Abe e i drammi degli attentati in Giappone

Abe, morto a 67 anni, era l’erede di una prestigiosa famiglia legata alla politica. Nel ramo paterno della famiglia spiccavano il nonno Abe Kan, deputato nell’anteguerra; e il padre Abe Shintaro, che fu invece Ministro degli Esteri negli Anni Ottanta. Abe nel ramo materno aveva invece tra gli avi il controverso nonno Kishi Nobusuke, primo ministro dal 1957 al 1960. Durante la guerra membro del governo guidato da Hideki Tojo che portò il Giappone nel conflitto. Distintosi come Governatore militare della Manciuria occupata dalle truppe del Sol Levante.

Due sole volte nella storia primi ministri od ex premier avevano subito attentati nella storia del Paese. Nel 1921 nella Stazione di Tokyo Hara Takashi, cattolico conservatore alla guida del Paese negli anni seguenti la Grande Guerra, fu assassinato; nove anni dopo Osachi Hamaguchi subì nello stesso luogo un attentato e sarebbe morto nel 1931 per i postumi delle ferite riportate. L’omicido di Abe riporta il Paese indietro di novant’anni e, soprattutto, in preda dei suoi demoni.

L’Andreotti nipponico

Colto, preparato, spregiudicato, Abe è stata la quintessenza dell’ambizione giapponese per il nuovo millennio. Un “Andreotti nipponico”, uomo tanto abile a plasmare il potere del Paese quanto a preservarsi a lungo nelle posizioni apicali. Tanto da diventare il premier più longevo della storia di Tokyo. La lunga tenuta del governo tra il 2012 e il 2020, seguita alla breve esperienza del 2006-2007; che si è conclusa solo per motivi di salute, a causa della colite che cronicamente lo affliggeva.

Abe è stato abile, soprattutto, di governare se non addirittura di sfruttare apertamente la contraddizione perenne della sua figura. Erede del conservatorismo nipponico, ha promosso la più importante svolta politica di Tokyo. Con il superamento dei tradizionali cardini pacifisti e il rilancio dell’interventismo di Tokyo nell’Indo-Pacifico.

Autodefinito liberale, nei suoi governi ha promosso la più ampia manovra di coordinamento tra politica monetaria espansiva e stimoli fiscali. La Abenomics sperimentata lungo lo scorso decennio come più importante esperimento di ibridazione di questo tipo. Ha preservato il sistema nipponico in un contesto di bassa crescita economica, alto debito pubblico e stagnazione demografica. Per preservare potere d’acquisto e redditi dei cittadini.

Luci e ombre dell’agenda Abe

In entrambi i casi, sul fronte dei risultati concreti i risultati sono stati alterni. In Asia il Giappone è un protagonista affermato. Ha rafforzato la sua flotta con gli F-35 imbarcati e nuove unità; compete con la Cina e promuove una diplomazia autonoma aperta a India, Australia e Paesi occidentali. Ma non è andata in porto la proposta di Abe di abrogare l’Articolo 9 della Costituzione che impedisce a Tokyo di partecipare a missioni all’estero. Apertamente filoamericano, Abe ha lavorato in sostanza per scardinare molti dei capisaldi costituzionali proposti da Washington dopo la disfatta bellica dell’Impero nel 1945.

Sul fronte economico, invece, il Giappone di Abe ha sfruttato le dinamiche strutturali di elevata propensione al risparmio e consolidato benessere per espandere in senso “patriottico” la copertura del debito e delle finanze nazionali da parte degli investimenti dei cittadini. Ma a parte una buona capacità di rilancio dell’innovazione e dell’attrattività tecnologica del Paese il Giappone non è, ad ora, stato in grado di ritornare al livello degli Stati Uniti e di altri Paesi guida per la competizione nelle industrie di frontiera. Anche se le dinamiche dell’inflazione giapponese di questi mesi, fortemente ridotta rispetto a quella del resto del mondo occidentale, mostrano come l’impatto dell’Abenomics sia stato virtuoso sul fronte della tutela del potere d’acquisto dei cittadini.

Il guardiano dell’Imperatore

Ma la grande capacità di Abe di governare la contraddizione non si è fermata qui. Il leader salutato da tutti i capi di Stato e di governo del pianeta, per anni, indipendentemente dal loro credo politico (da Barack Obama a Donald Trump, da Narendra Modi a Boris Johnson, passando per Vladimir Putin) come un punto di riferimento credibile nel sistema internazionale e un partner affidabile per le relazioni col Giappone è stato anche capace di costruire una carriera interna rivalutando i fantasmi del passato espansionista del Sol Levante.  

Abe ha promosso in particolar modo un forte rafforzamento della Nippon Kaigi. La lobby nazionalista e conservatrice di cui era membro che da anni preme per il rilancio dello “scintoismo di Stato”. L’ideologia politico-religiosa che, come segnala Nello Puorto su Limes, “si batte per il riconoscimento di un ruolo più centrale dell’istituzione imperiale, per un’istruzione patriottica”; e per “garantire ai politici la possibilità di effettuare visite ufficiali al santuario di Yasukuni”; ove sono seppelliti i caduti giapponesi della seconda guerra mondiale e i gerarchi della giunta militare e i leader delle forze armate processati e giustiziati nei Processi di Tokyo.

Visite che Abe non ha mai mancato di compiere e che nella tradizione del Partito Liberaldemocratico da lui guidato a tre vittorie elettorali (2012, 2014, 2017) sono diventate ormai rituali. Nel 2019 Abe ha spinto la Nippon Kaigi a fare pressione sul neo-imperatore Naruhito per prendere al balzo la palla del ritorno di fiamma dello scintoismo di Stato ma, fino ad oggi, nei tre anni della nuova Era Reiwa non si sono prodotte conseguenze concrete in tal senso.

Abe, un amico dell’Italia

Abe è stato inoltre un leader fortemente attenzionato dai governi italiani con cui ha avuto modo di collaborare. L’Italia ha sostenuto, in particolar modo, il completamento dell’Accordo Commerciale Ue-Giappone entrato in vigore il primo giorno di febbraio del 2019. Che ha rappresentato una svolta per la penetrazione dei prodotti nipponici, dalle auto all’elettronica, nell’Unione con prezzi contenuti e per l’esportazione di beni di pregio europei nello Stato dell’Estremo Oriente. Nel 2014 a Roma e nel 2016 a Firenze Abe ha incontrato con profitto Matteo Renzi: questi, oltre alla cooperazione commerciale, hanno aperto a un asse anche sul fronte della difesa e della tecnologia.

A seguito di questi due incontri, infatti, l’allora Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha nel 2017 siglato due accordi cruciali con Tokyo. Con il Ministro della Difesa, Tomomi Inada, ha firmato un “Memorandum sulla cooperazione e gli scambi nel settore della Difesa”; con il Ministro degli Affari Esteri, attuale premier, Fumio Kishida, ha firmato invece un “Accordo tra Governi concernente il trasferimento di equipaggiamenti e di tecnologia di Difesa”.

La cooperazione tra Italia e Giappone in campo aeronautico, principalmente sul fronte del caccia Tempest, ha le sue origini in quelle intese. Nel 2019 Abe ha visitato Giuseppe Conte e Sergio Mattarella. Poco dopo l’ingresso di Roma nella Nuova Via della Seta a trazione cinese e approfondito con nuove intese commerciali e energetiche una partnership arrivata al culmine nel maggio 2020. In piena pandemia, con una continua e strutturata serie d’accordi per la condivisione di dati e informazioni in ambito sanitario.

Tutte queste dinamiche hanno aperto una fase positiva dei rapporti italo-nipponici che hanno avuto il loro coronamento nel recente incontro tra Kishida e il premier Mario Draghi avvenuto nel mese di maggio. In cui è stata certificata un’amicizia a cui il dinamico, controverso ma sicuramente unico Abe ha, con decisione, contribuito promuovendola attivamente.