È semplice, o almeno così sembra. Per diminuire il nostro consumo di combustibili fossili dobbiamo puntare su altre forme d’energia. Come quella solare, per esempio. Per questo, in tutto l’Occidente è corsa al pannello solare, tra incentivi, sgravi fiscali e investimenti “etici”. Ma, come detto, la realtà non è semplice quanto sembra.
Il paradosso del solare
Dietro al boom di questa forma energetica pulita, infatti, c’è una montagna di sporchissimo carbone. E non è tutto: la svolta green degli USA e dell’Europa, oltre ad avere un background inquinante, è perlopiù trainata dall’industria cinese del carbone.
È un fenomeno noto da tempo, che la pandemia non ha di certo rallentato. Come rivela il Wall Street Journal, la corsa al solare rischia di creare un paradosso, aumentando la produzione e il consumo di carbone.
Localmente, quindi, l’Occidente può farsi bello – magari ingenuamente – degli investimenti nelle rinnovabili. Dall’altra parte del mondo, intanto, è sempre il vecchio carbone a permettere la produzione in massa dei dispositivi necessari per creare energia pulita.
La svolta green alimentata a carbone
Il mercato dei pannelli solari è da anni dominato dalle aziende cinesi. Come in molti altri campi, infatti, le realtà del paese asiatico hanno potuto sfruttrare su ampia manodopera a basso (bassissimo) prezzo. Ma anche sul fattore energetico, sotto forma di energia a basso costo, ottenuta dal carbone. Da quelle parti, infatti, i limiti d’emissioni sono molto più tolleranti, e la pandemia ha spinto il governo a chiudere un occhio sulla questione, pur di far ripartire l’economia del gigante.
Dopo il grande stop pandemico del 2020, quindi, la Cina è ripartita. E lo ha fatto a tutti i costi, ricominciando a bruciare carbone senza remore per produrre energia per le sue fabbriche.
Come uscirne?
Il problema non riguarda solo le belle speranze occidentali, ovviamente. Anche i governi di Cina e India (altra potenza del settore) hanno ambiziosi piani energetici. Soprattutto Pechino vede le rinnovabili come la chiave per la supremazia produttiva del futuro, e investe da tempo sul settore. Insomma, è la stessa Cina a trovarsi in prima persona davanti a un controsenso sempre più pesante: dover agevolare la transizione energetica rimanendo la grande fabbrica del mondo.
Quanto all’Unione europea, l’unica via d’uscita sarebbe piuttosto rischiosa, dal punto di vista diplomatico ed economico. Dazi e sanzioni potrebbero aiutare l’industria del settore in Europa (quelle di Germania, Francia e Italia tra tutte) ma rischierebbero di colpire un nervo scoperto, quello delle relazioni industriali tra Ue e Cina.
Intanto, il mondo continua a bruciare, anche nel nome della green economy.
(Foto: Envato)