È entrato in funzione il primo luglio ma già traballa incerto, tra ritardi e problemi tecnici. Il “Green Pass” europeo era nato per risolvere il problema degli spostamenti e delle vacanze estive: un passaporto d’immunità con cui muoversi tra i Paesi dell’Unione europea.

Le Regioni e la piattaforma nazionale per il green pass
Il tutto è però più facile a dirsi che a farsi. Lo “EU Digital COVID Certificate”, vero nome del Green Pass, si basa su una infrastruttura nazionale costruita per l’occasione, e collegata a quella europea.
Perché questo lavoro di data entry dev’essere certosino, e invece, come ha spiegato l’esperto Massimo Mangia, molti dei dati inseriti sono stati errati e parziali. In più ci sono stati problemi con i software utilizzati in alcuni regioni, che dovevano essere ancora aggiornati per poter comunicare con il nuovo sistema.
Green pass: dati sbagliati, ritardi, aggiornamenti mancati
Questo tipo di piattaforma è, a detta di molti, la più tecnologicamente avanzata mai usata in Italia. E il nostro Paese, possiamo dire, non si è dimostrato pronto. Perché basta un dettaglio a bloccare la richiesta di un cittadino, come un errore nel riportarne le informazioni.
Ma come funziona la trafila che porta al Green Pass? Proviamo a riassumerla: all’inizio c’è l’input di chi si è vaccinato, tamponato o ha un certificato di guarigione.
Le differenze sanitarie tra regioni influenzano anche il green pass
La conseguenza principale di questi intoppi è che la marea di errori umani si fanno sentire di più proprio nelle Regioni dalla sanità meno efficiente.
Per fortuna è comunque possibile viaggiare in Europa usando i certificati di vaccino, guarigione o tampone, almeno fino al 12 agosto.
Dopo quella data, sarà meglio avere il Green Pass. Se ce lo fanno scaricare, ovviamente.