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Matteo Messina Denaro, i segreti e la lunga latitanza dell’ultimo boss dei Corleonesi

Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro è morto e porta nella tomba i tanti segreti della sua lunga latitanza ma anche della sua amicizia con gli altri ultimi due bossi morti come lui: Riina e Bernando Provenzano.

Matteo Messina Denaro, i segreti

Con la morte di Matteo Messina Denaro con lui vengono seppelliti i tanti segreti della famigerata Cosa Nostra dei Corleonesi. Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte e quelle carte sono finite a Matteo Messina Denaro”, queste sono le parole del pentito Nino Giuffrè. Con lui tante domande probabilmente non troveranno mai risposta come la trattativa Stato-Mafia ma anche i suoi rapporti con la massoneria, le piste estere (dalla Spagna a Dubai), da chi lo ha aiutato in questi trent’anni di latitanza, a chi ha coperto le sue tracce.

“Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia“ così durante un interrogatorio di fronte ai magistrati di Palermo dopo la sua cattura nei mesi scorsi per rimarcare che non si era fatto prendere sicuramente per collaborare con la giustizia.

La lunga latitanza dell’ultimo boss dei Corleonesi

Messina Denaro è stato per anni uno dei boss più ricercati del mondo ha alimentato l’immagine di un implacabile playboy con i Ray Ban, le camicie griffate e gli orologi costosi. Prima del suo arresto agli inizi del 2023,uno degli ultimi ultimi avvistamenti è del 14 settembre 1993 proprio a Castelvetrano. Il racconto di quel giorno nel racconto di un investigatore dell’epoca. “Andammo al bar per un caffè e i nostri sguardi incrociarono quello di Matteo Messina Denaro. Allora il boss era ancora libero. Ci scrutammo a lungo, lui sapeva chi eravamo. Noi sapevamo tutto di lui, della sua famiglia e dei suoi amici politici. C’era una strana aria quel giorno”. Vista la sua situazione clinica scoperta all’indomani dell’arresto, restano i dubbi che non si sia fato arrestare perché era a conoscenza della sua malattia terminale e della possibilità di farsi meglio curare.