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Banda della Uno Bianca: la storia dei poliziotti criminali

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La storia della Banda della Uno Bianca è la storia della gang criminale che tra il 1987 e il 1994 ha sconvolto l’Italia, tra omicidi e rapine a mano armata. Una docu-serie originale in due episodi di Verve Media Company e Rai Documentari ne ricostruisce la storia.

Banda della Uno Bianca: cos’era e da chi era composta

La Banda della Uno Bianca era composta da sei membri, cinque dei quali parte della Polizia di Stato. Sono: Roberto Savi, Fabio Savi, Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. La gang tra il 1987 e il 1994 ha compiuto ben centotré azioni delittuose, provocando la morte di ventiquattro persone e il ferimento di altre centodue. Il nome della banda deriva dal modello di automobile utilizzato in alcune azioni criminali. Si tratta della Fiat Uno, una vettura facile da rubare e difficile da identificare, per via della sua diffusione in quel periodo.

Particolarmente attiva in Emilia Romagna, la Banda della Uno Bianca è stata artefice di efferati omicidi, talvolta operati durante le rapine per non lasciare testimoni. La gang è anche stata responsabile della Strage del Pilastro. Ovvero, dell’uccisione di una pattuglia dell’Arma dei Carabinieri, brutalmente trucidata dopo un concitato scontro a fuoco. I componenti della banda sono stati tutti arrestati alla fine del 1994 e successivamente condannati.

La storia in una docu-serie

A ricostruire la storia criminosa della Banda della Uno Bianca sono Flavia Triggiani e Marina Loi, un duo che da anni lavora nel mondo del documentario. La docu-serie in due episodi va in onda lunedì 29 novembre in prima serata su RaiDue, per il ciclo CrimeDoc. La produzione è di Verve Media Company e Rai Documentari. Con la guida di Duilio Giammaria, la direzione di Alessandro Galluzzi e il soggetto di Marco Melega.

Volevamo fare questo documentario da tempo – spiegano Loi e Triggiani – perché questa storia ci ha sempre fatto riflettere e andava raccontata, per i giovani e per chi non vorrà mai dimenticare“. E prosegue: “Abbiamo voluto fare emergere anche un sguardo femminile in una vicenda prettamente maschile, quindi più emotivo, empatico, intenso, perché non è stato facile ripercorrere tutto cronologicamente, aprendo anche qualche finestra su alcune zone d’ombra che ancora ci sono su questa storia perché è notizia recente la possibile riapertura con due esposti fatti dal giornalista Mazzanti e dall’avvocato Gamberini tramite Ludovico Mitilini e anche una lettera che abbiamo ricevuta da Fabio Savi dal carcere dove lui dichiara alcune cose“.