Home Economy Quali aziende italiane godrebbero del ban Ue alle auto cinesi?

Quali aziende italiane godrebbero del ban Ue alle auto cinesi?

Auto batterie elettriche

Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Ue ha annunciato l’apertura di un’indagine anti-dumping sulle importazioni in Europa delle auto elettriche cinesi. Nel caso in cui Bruxelles attuasse un ban o dovesse apporre ostacoli nei confronti dell’automotive di Pechino, cosa succederebbe all’Italia? Ecco chi (e quali settori) potrebbero guadagnarci.

Auto elettriche cinesi in arrivo: prendere accorgimenti. L’Unione europea ha alzato gli scudi in vista di una possibile pioggia di veicoli made in China. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato un’imminente indagine anti-dumping contro l’ultimo spauracchio proveniente dalla Cina.

L’obiettivo è chiaro: capire se il Dragone sta davvero nutrendo le aziende del suo settore automotive con lauti sussidi statali. Se dovesse emergere una risposta positiva, significherebbe un’alterazione della concorrenza europea, a vantaggio cinese e a svantaggio dei produttori del Vecchio Continente. In tutto questo è interessante chiedersi che cosa potrebbe accadere all’Italia. Roma avrebbe di che gioire oppure, al contrario, riceverebbe un contraccolpo inaspettato?

Chi si avvantaggia

Il worst case scenario coincide con l’accusa europea di dumping a Pechino e l’imposizione di dazi sulle auto elettriche importate da oltre la Muraglia. A quel punto, tra Cina ed Unione europea prenderebbe il via una sorta di guerra commerciale, con possibili contro dazi cinesi all’import dei veicoli made in Eu.

In un contesto del genere, l’Italia subirebbe colpi limitati visto che la penetrazione dei marchi italiani nel mercato cinese è limitato. Nel 2016, stando ad un report Unicredit, la quota dell’export di auto italiane ammontava all’1,1%, contro il 27,2% tedesco e il 14,7% del Regno Unito, valore rimasto sostanzialmente costante negli anni seguenti.

A parti invertite, l’Italia potrebbe schermare l’arrivo di auto a basso costo dalla Cina, riservando le quote di mercato per le fasce medio e medio basse ai propri marchi. Stellantis, gruppo che tra gli altri comprende Fiat, Jeep e Lancia, avrebbe modo di occupare praterie che resterebbero inoccupate.

Dal punto di vista della componentistica, ci sarebbero aziende che potrebbero sfruttare il contesto per accrescere le loro posizioni. Non solo nella creazione di auto “italiane” ma europee. Pensiamo a Brembo, Magneti Marelli, Landi Renzo, Dell’Orto, Sogefi, fornitrici di primo livello. Certo, una guerra commerciale con la Cina non è auspicabile da nessuno. E il motivo è semplice.

I numeri delle auto italiane

Per tornare alla domanda iniziale, e abbozzare una risposta completa, è fondamentale ricostruire lo scenario a livello europeo. Von der Leyen ha avviato una sorta di crociata preventiva contro le auto cinesi, accogliendo le richieste della Francia che, insieme alla Germania, è campionessa dell’automotive europeo.

Da mesi Parigi mostra preoccupazione per l’avvento in massa dei veicoli elettrici (Ev) cinesi in Europa. Il timore più grande è che le economiche auto del Dragone possano azzoppare le vendite delle quattro ruote prodotte dai brand francesi. “I mercati globali sono inondati di auto elettriche economiche cinesi. E il loro prezzo è mantenuto basso artificialmente da ingenti sussidi statali che distorcono il nostro mercato”, ha dichiarato von der Leyen.

Tra l’Italia e gli altri Paesi c’è un’enorme differenza quando parliamo di automotive. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale dei costruttori di veicoli a motori, nel 2022 il nostro Paese si è piazzato all’ottavo posto nella graduatoria relativa alle nazioni che producono più auto. In testa troviamo la Germania, con 3.480.357 unità, quindi Spagna (1.785.432), Repubblica Ceca (1.217.787) e Francia (1.010.466). L’Italia arriva soltanto dietro Slovacchia (1milione), Regno Unito (775.014), Romania (509.465), con 473.194 unità all’attivo.

Un numero basso, che potrebbe incassare colpi limitati rispetto a chi, come Parigi e Berlino, mostra settori ben più strutturati. Dal canto suo, la Cina ha definito la mossa dell’Ue come protezionistica e avvertito che questo passo potrebbe danneggiare le relazioni economiche.