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Fine del sogno. Perché l’Italia non è più una potenza dell’automotive

Fine del sogno. Perché l’Italia non è più una potenza dell’automotive

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo d’Urso, è entrato in pressing su Stellantis. L’obiettivo di Roma: produrre un milione di auto all’anno in Italia. L’Italia sogna ancora di essere una potenza dell’automotive ma la realtà dice ben altro. Dalle delocalizzazioni alla mancanza di aziende leader della componentistica, ecco tutti i nodi dell’industria automobilistica italiana.

L’obiettivo è prestigioso: produrre un milione di automobili all’anno. Il tentativo di (ri)alzare l’asticella dell’industria italiana dell’automotive è altrettanto coraggioso. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, ha incontrato a Roma niente meno che Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis.

Parlando dello squilibrio produttivo tra gli stabilimenti del gruppo operanti in Francia e in Italia, il ministro è stato chiarissimo. “Oggi Stellantis produce un milione di autovetture in Francia e solo 473.000 in Italia. Bisogna portare anche i livelli produttivi a un milione di auto riducendo quello che oggi è un gap insostenibile tra produzione e mercato nazionale”, ha dichiarato Urso.

Nelle classifiche riguardanti i maggiori produttori europei di auto, l’Italia è però lontanissima dalla vetta. Numeri che certificano una decadenza ormai comprovata dll’automotive nostranacomprovato. E che si rispecchia anche nella graduatoria dei principali fornitori mondiali di apparecchiature e componenti per la realizzazione delle vetture, priva di aziende italiane nei posti di vertice.

Se aggiungiamo l’incapacità di Roma di attrarre investimenti di gruppi e brand stranieri legati all’industria automobilistica, si capisce perché l’Italia non sia più, e da tempo, una “potenza dell’automotive“.

Lo stato dell’industria automobilistica dell’Italia

Senza scomodare l’età dell’oro, basti pensare che soltanto nel 2017 l’Italia sfornava 1.142.210 veicoli. Per la precisione, 742.642 automobili (418.324 esportate all’estero) e 339.568 tra furgoni, tir e autobus (324.568 esportazioni). La maggior parte di questi veicoli era realizzata dalla Fiat, con quasi 531mila tra Punto, Panda e 500X, seguite da circa 180mila Jeep Renegade, quasi 148mila tra Alfa Romeo 4C, MiTo, Giulia, Stelvio e Giulietta.

Oggi i numeri dell’Oica, l’Organizzazione internazionale dei costruttori di veicoli a motori, parlano di un’Italia ottava nel panorama europeo relativo alla produzione auto nel 2022. In tutto il continente, considerando Regno Unito e Paesi dell’Unione europea, sono state costruite oltre 12milioni di auto. Al comando della graduatoria troviamo la Germania, con 3.480.357 unità, quindi Spagna (1.785.432), Repubblica Ceca (1.217.787), Francia (1.010.466), Slovacchia (1milione), Regno Unito (775.014), Romania (509.465) e Italia (473.194). Segue, pronta a superare Roma, l’Ungheria con 441.729 vetture all’attivo.

Le criticità di Roma

Possiamo individuare tre importanti criticità dell’Italia che hanno impedito (e impediranno, a meno di risoluzione) alla sua industria dell’automotive di spiccare il volo. Il primo coincide con l’assenza di adeguati investimenti stranieri dei grandi gruppi automobilistici sul territorio italiano.

Giusto per fare un esempio, la Spagna non produce quasi 2milioni di auto all’anno soltanto grazie ai suoi marchi, ovvero Seat e Cupra, ma soprattutto per via dei numerosi stabilimenti esteri presenti nel Paese. Possiamo citare Volkswagen, Mercedes-Benz, Renault, Nissan, Ford e pure Stellantis. Persino la Germania, forte dei suoi campioni nazionali, non punta soltanto su di loro. Lo hanno capito persino altri competitor storicamente minori, come Ungheria, Portogallo, Polonia e, al di fuori dell’Europa, Turchia. Queste nazioni producono vetture per conto di grandi brand e, in termini di esportazioni dei veicoli, possono dire la loro sul palcoscenico europeo.

L’Italia, invece, e qui arriviamo alla seconda criticità, è eccessivamente incentrata su Fiat/Stellantis. Tanto è vero che, salvo pochissime eccezioni, all’ombra di Roma si realizzano solo ed esclusivamente auto di marchi italiani.

Arriviamo poi al discorso della componentistica. Come si può essere potenza dell’automotive senza avere grandi aziende nazionali attive nella produzione di componentistica necessaria per produrre veicoli? Certo, le industrie di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito si affidano all’export della componentistica made in Italy. Peccato che, prendendo in esame la classifica diffusa da Automotive News che mette in ordine i 100 principali fornitori mondiali, l’unico campione italiano (Marelli) si collochi soltanto al 26esimo posto. In uno scenario del genere è impossibile immaginare l’Italia come “potenza dell’automotive”.