Home Economy Dalla Norvegia all’India: i partner strategici per il 2023 dell’Italia

Dalla Norvegia all’India: i partner strategici per il 2023 dell’Italia

Dalla Norvegia all’India: i partner strategici per il 2023 dell’Italia

Perché leggere questo articolo: L’Italia vive sfide politiche decisive. In cui diversi Paesi spesso sottovalutati nel dibattito possono diventare partner strategici. L’Algeria è uno di questi, ma non l’unico.

Il governo Meloni ha segnato un punto diplomatico con gli accordi sul gas tra Italia e Algeria. E l’ex colonia francese sarà un Paese decisivo per il 2023 dell’Italia. Ma non solo l’Algeria sarà cruciale per le dinamiche di sistema del governo di Roma. Energia, difesa, politiche economiche: molte sfide attendono l’Italia e altri Paesi saranno decisivi per la politica estera del nostro Paese.

Norvegia, l’Algeria del Nord che riempie di gas l’Italia

Per un’Algeria a Sud, c’è una Norvegia a Nord. La sostituzione del gas russo, avviata dal governo Draghi e proseguita da Giorgia Meloni ha in Oslo un partner chiave. La Norvegia, alleata della Nato e Paese vincitore della guerra del gas, è anche la nazione del segretario dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg.

Lo scorso anno la Norvegia è diventata il primo fornitore di gas dell’Unione Europea, spodestando con 90 miliardi di metri cubi e il 25% del totale la Russia che è passata dal rappresentare il 40-45% dei flussi in entrata in Europa ad essere appena il 10%. Per l’Italia i flussi via gasdotto e Gnl sono al 10%: una prospettiva che il governo Meloni vuole aumentare lanciando i rigassificatori a Piombino e Ravenna. Ma bisognerà evitare scivoloni paragonabili a quello di novembre sui migranti per non depauperare una relazione sistemica.

Azerbaijan: gas, armi e contraddizioni

Altrettanto importante, per motivi geostrategici, l’Azerbaijan. Simbolo di forze e contraddizioni della politica estera italiana. Baku è un Paese con cui l’Italia è legata da rapporti energetici crescenti legati al gasdotto Tap, che ha salvato Roma dalla crisi energetica totale nel 2022. Al contempo, è un acquirente di armi leggere italiane e degli strategici aerei d’attacco al suolo Alenia A346. 

Qui si rischia un punto di caduta: l’Azerbaijan potrebbe, secondo molti analisti, tornare all’attacco contro l’Armenia nel Nagorno-Karabakh in questo 2023. Sfruttando, ed è il parere di molti, il disimpegno della Russia nella regione. L’Italia è disposta a essere complice di una nuova aggressione dopo quella del 2020? E soprattutto, il governo di centrodestra, occidentalista e favorevole alla tutela dei cristiani perseguitati, accetterebbe l’attacco di un Paese islamico a una nazione cristiana? L’Azerbaijan è un Paese che può spingere l’Italia di “io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana” a scegliere al crocevia tra pragmatismo (cinico) e ideologia. Una scelta mai indolore, che le esigenze del governo impongono.

Grecia e Turchia, la necessità di un’Italia mediatrice

Sarà decisivo per l’Italia giocare un ruolo di ago della bilancia tra Grecia e Turchia. Partner Nato che si guardano in cagnesco, ma sono strategici per Roma. Con Atene l’Italia condivide la necessità di saldare i governi conservatori di Meloni e Kyriakos Mitsotakis in un nuovo fronte mediterraneo anti-austerità e capace di trovare una soluzione sui migranti.

Sul fronte energetico, il 2023 potrebbe essere l’anno buono per concretizzare il gasdotto EastMed, per il quale serve però il via libera di Ankara. E Italia e Turchia, come ha dimostrato la recente visita di Antonio Tajani a Istanbul, possono e devono dialogare sul fronte comune dei dossier condivisi. Tra questi: la partita per la stabilizzazione della Libia, l’apertura del Mediterraneo alla libertà di navigazione, la questione di Cipro e il contrasto al jihadismo nel Mediterraneo allargato.

Israele e l’asse conservatore Netanyahu-Meloni

Last but not least, Giorgia Meloni vede in Benjamin Netanyahu un alleato strategico. Il navigato premier israeliano tornato al potere vuole saldare sull’asse Washington-Londra una nuova serie di alleanze internazionali per contrastare l’arcinemico iraniano. L’Italia, pivot atlantico nell’Unione Europea, potrebbe essere interessata a lavorare in sponda col governo conservatore di Tel Aviv per legittimarsi agli occhi di Usa e Regno Unito.

Francesco Talò, consigliere diplomatico di Meloni, è molto legato all’asse Washington-Londra-Tel Aviv. E sta puntando a organizzare un viaggio del premier in Israele in cui l’Italia si potrà posizionare in prima linea nel contenimento dell’Iran ricevendo in cambio una legittimazione strategica di peso. Meloni e Netanyahu sono, assieme al premier polacco Mateusz Morawiecki, i referenti di peso della nuova “internazionale conservatrice” che vuole guidare la destra globale oltre l’influenza di Donald Trump. Aspettando, nel 2024, un ritorno in auge dei Repubblicani Usa.

L’India, nuova frontiera della diplomazia italiana

Last but not least, l’India. Presidente di turno del G20 e Paese ambizioso sul piano economico, diplomatico, militare, geopolitico. Narendra Modi è alleato dell’Occidente e sogna una sinergia con l’alternativa europea alla Via della Seta cinese, il Global Gateway, a cui il duo Meloni-Talò non intende rinnovare l’adesione nella prossima primavera.

Vista la rinnovata attenzione italiana per l’Asia e la firma dell’accordo sul caccia di sesta generazione con Giappone e Regno Unito, Nuova Delhi può essere la prossima frontiera della diplomazia italiana. Che può promuovere un asse di spicco con una grande potenza democratica che gioca una partita importante con punti comuni a quella dell’Italia. In primo luogo il sostegno all’ordine multilaterale; in secondo luogo, l’attenzione all’Africa e agli snodi marittimi in direzione dell’Oceano Indiano per garantire sicurezza e libertà dei commerci; terzo punto, il desiderio di emanciparsi dall’egemonia cinese in campo tech e di transizione energetica. I margini di cooperazione esistono e vanno sfruttati.

L’India è forse il più complesso dei nuovi scenari di riferimento della diplomazia italiana. Ma può diventare, al contempo, uno dei più fecondi. Per completare una politica estera in cui Roma deve, mese dopo mese, pensare in maniera sempre più complessa alle sfide chiave del presente.