La cucina italiana entra ufficialmente nella Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Una candidatura avanzata nel 2023 dal ‘Collegio Culinario Associazione culturale per l’enogastronomia italiana’, insieme a Casa Artusi, l’Accademia della Cucina Italiana e la storica rivista ‘La Cucina Italiana’, si è concretizzata durante il vertice di Nuova Delhi. L’annuncio, accolto dagli applausi della delegazione italiana capitanata dal ministro Antonio Tajani, segna il debutto di una tradizione culinaria nella sua interezza ai massimi onori Unesco: “Mai nella storia era successo che una cucina, nella sua globalità, diventasse patrimonio Unesco”, come sottolinea lo chef Massimo Bottura.
Oltre il piatto: memoria, comunità, identità
È unanime tra gli addetti ai lavori il senso di svolta. Massimo Bottura, uno che di riconoscimenti se ne intende, parla di una vera e propria “memoria, identità di un popolo: ogni piatto racconta una storia. È un gesto che viene tramandato di famiglia in famiglia, in 60 milioni di cucine italiane diverse, ma riunite tutte attorno a un grande rito collettivo…”. Il pasto come teatro quotidiano, la convivialità come rituale che plasma l’identità nazionale, ben oltre la pura esigenza alimentare. Una macchina troppo grande per fermarsi senza deragliare: la cucina italiana si configura come “un linguaggio universale fatto di sapori, di gesti antichi, che permette di condividere valori, appartenenza a un paese, ed è anche pratica sociale”. Un patrimonio che va dal Piemonte fino alla Sicilia, attraversando litigi, celebrazioni e tutta quella sceneggiatura di legami e alleanze tipica del tavolo imbandito.
Una vittoria contro gli sprechi e le imitazioni
Ma c’è — come sempre — un altro livello nella faccenda. L’iscrizione Unesco abbraccia l’idea della cucina tricolore come modello di inclusività e sostenibilità: una pratica quotidiana capace di unire comunità diverse, tutelare la biodiversità, ridurre gli sprechi alimentari. E qui l’accento si sposta sulle ricadute pratiche: “Il riconoscimento Unesco può rappresentare l’equivalente di una stella Michelin nell’ambito della ristorazione”, afferma Cristina Bowerman. In ottica di sistema, lo chef Heinz Beck avvisa: “Non parliamo di un’unica cucina ma di tante regioni, di tante ricette e tradizioni e poi di tanti prodotti e soprattutto di svariate tecniche… la cucina italiana è molto di più [di pasta e pizza], è cultura e tradizione, ha un patrimonio immenso e si merita veramente questo riconoscimento”.
Protezione e valorizzazione del Made in Italy
L’arrivo del titolo Unesco, dunque, impone una sterzata anche sulla questione delle imitazioni e del cosiddetto “Italian Sounding”, vale a dire tutti quei prodotti che si spacciano per italiani pur senza esserlo: “Questa onorificenza — avverte Raffaele Alajmo — riesca a proteggere e difendere i veri valori della cucina italiana nel mondo, di tanti colleghi che la portano e cercano di farla nel miglior modo possibile… se da tutto questo nasca, non dico una certificazione, un qualcosa che identifichi le vere cucine italiane da quelle finte, sarebbe bellissimo”. Parole più che condivise da Alessandro Circiello, che punta il dito anche sull’importanza della biodiversità: “In Italia abbiamo 300 biodiversità di pomodori, mentre il secondo paese al mondo che è la Spagna ne ha 30. Di cultivar di olive ne abbiamo 500 e la Spagna ne ha 200. La cucina italiana è basata su piatti di tradizioni…piatti che facevano le nostre nonne, le nostre mamme ed è una cucina per mangiare sano e bene”.
La cucina italiana si evolve senza dimenticare la sua identità
Ci sono le radici millenarie e la capacità di innovazione, come una slavina che travolge il vecchio senza cancellarlo: “La cucina italiana si evolve ma è importante che non dimentichi la sua identità”, ammonisce Beck. E Bowerman rilancia, evocando le eccellenze contemporanee già nei migliori ristoranti: “La cucina italiana moderna è premiata ormai da tutti… veramente spero che questo riconoscimento serva, diciamo, da carburante, con benefici più a livello di immagine che a livello economico”. In altre parole, ora si fa la volata, con la consapevolezza che — almeno in materia di cucina — l’Italia si presenta solida al via del volatone globale. Nessun immobilismo, anzi: contaminazioni, ritorni al passato, spinte innovative. “Ogni periodo del periodo storico lascerà delle nuove tradizioni che si aggiungeranno ad alcune vecchie ed altre spariranno”, osserva Alajmo.
Una laurea honoris causa quasi per acclamazione, come la definisce Alajmo, per una cucina “estremamente richiesta, apprezzata e ricercata nel mondo”. Forse è la consacrazione che mancava, come una torta tutta sua che ora l’Italia può finalmente mostrare con orgoglio. “Nessuno dice: io vado negli Stati Uniti per mangiare bene… in Italia abbiamo tutte e due le cose, cibo e stile di vita, vinciamo su tutti i fronti”, sottolinea Bowerman, puntando su quello strano, magico connubio tutto made in Italy. Come si risolve tutto questo? Solo il tempo dirà se il timbro Unesco sarà leva per proteggere, innovare, distinguere e, perché no, portare ancora più in alto il mito della cucina italiana.
