Home Politics Mein Kampf e dintorni, la propaganda di Netanyahu che fa male a Israele

Mein Kampf e dintorni, la propaganda di Netanyahu che fa male a Israele

La guerra continua: il ritiro di Israele da Rafah e le sfide di NetanyahuIsraele è entrato da oltre una settimana nella Striscia di Gaza Netanyahu

Perché leggere questo articolo? Israele e Netanyahu paragonano le azioni di Hamas all’Olocausto. Ma così facendo rischiano di esagerare in propaganda.

La guerra a Gaza è terribile. E lo è per un’ampia serie di motivi. Innanzitutto, perché la guerra tra due contendenti sulla pelle di un popolo, quello palestinese. Assediato nella Striscia dall’esercito israeliano e preso in ostaggio dai tagliagole di Hamas, che lo usano come scudo umano. Ma è terribile anche perché è un conflitto senza regole in cui non riusciamo a veder nulla e vediamo, giorno dopo giorno, tutto filtrato dalla propaganda.

C’è una propaganda di Hamas che conosciamo fin troppo bene: i rapimenti, i video degli ostaggi, i proclami della distruzione di Israele. Ma c’è anche una propaganda del governo di estrema destra di Israeleformato da quei partiti che ieri hanno foraggiato Hamas (Likud in testa) salvo vedersi poi esplodere in faccia un problema prevedibile. E la propaganda di Israele verte su un parallelismo scivoloso: Hamas va annientata perché il suo obiettivo sarebbe un nuovo Olocausto. Lo abbiamo visto in ogni salsa: dalle stelle gialle poste sulla giacca dai rappresentanti israeliani all’Onu fino al recente rumor del ritrovamento di una copia del Mein Kampf, il libro di Adolf Hitler, a Gaza.

Netanyahu e il “nuovo Olocausto”: un eccesso di propaganda?

L’idea del “nuovo Olocausto” semplicemente non sta in piedi per un’ampia serie di motivi. Primo, fino a pochi mesi fa Tel Aviv riconosceva più i militanti di Hamas che le legittime autorità di Fatah come interlocutori in Palestina. Si tratta, fino ad arrivare a negoziare concessioni sul gas, con dei presunti sterminatori?

Secondo, il governo di Benjamin Netanyahu sta alzando l’asticella della propaganda di guerra mano a mano che sul fronte interno la sua tenuta appare più precaria. E si manifesta la difficoltà di una soluzione militare alla guerra mentre semplicemente si moltiplicano i morti da una parte e dall’altra. Terzo, l’estrema destra dei falchi israeliani danneggia così facendo la tenuta della strategia dello Stato ebraico in una fase in cui l’intera comunità internazionale chiede moderazione.

Una guerra atroce anche di propaganda

In una guerra in cui sotto le bombe israeliane lanciate in risposta ai tragici attentati del 7 ottobre sono morti migliaia di civili, oltre quaranta giornalisti, un centinaio di sanitari e altrettanti operatori Onu si capisce quanto la propaganda israeliana, legata ai fatti sul campo, rischi di creare un contraccolpo. E ci troviamo di fronte al paradosso di uno Stato che un mese fa ha subito il più grave disastro e il più duro colpo della sua storia unitaria, un terribile atto terroristico, costretto sulla difensiva sul piano retorico per un eccesso di propaganda.

Israele e Netanyahu, ma anche il presidente della Repubblica Isaac Herzog, avrebbero potuto separare i piani: unire sete di giustizia per ostaggi e vittime e focalizzazione militare contro Hamas. Invece hanno pensato di giocare su troppi piani: colpire Hamas; colpire l’Iran ritenuto suo foraggiatore; spingere sulla risposta a Gaza rilanciando inoltre gli insediamenti, ritenuti illegali dall’Onu, in Cisgiordania. Troppi obiettivi assieme senza una chiara strategia di fondo sull’obiettivo chiave: come sconfiggere militarmente Hamas senza spingere sulla strada della fuga di massa e del massacro di civili.

Come Israele si è alienato il sostegno collettivo

Oggi, oltre un mese dopo lo scoppio della guerra, i morti palestinesi sono dieci volte quelli israeliani. Israele si è azzuffata con le Nazioni Unite ed è arrivata a accusare velatamente di indifferenza sugli attacchi di Hamas perfino il Vaticano. Nel frattempo si intensifica la retorica che nel Paese vede sempre meno convinti molti media: da Haaretz al Times of Israel, principali voci di orientamento rispettivamente progressista e conservatore del Paese, i principali quotidiani di Tel Aviv e Gerusalemme condannano Hamas ma non vogliono dare un assegno in bianco a Netanyahu.

Come ha sottolineato il politologo Paolo Mossetti su Twitter, “Un mese fa, l’eccidio di Hamas aveva garantito a Israele una solidarietà quasi unanime” nelle opinioni pubbliche dei Paesi democratici. Mossetti aggiunge che “ci voleva davvero un impegno politico notevole, considerato anche l’ecosistema mediatico a suo favore, per dilapidarla. Netanyahu in un mese è riuscito a disperderla, George W. Bush con l’invasione dell’Iraq dopo la guerra in Afghanistan “ci è riuscito in un anno e mezzo, dopo le Torri Gemelle”.

L’appello al nuovo nazismo di Hamas cozza con la realtà sul terreno: “Ogni giorno gli smartphone consegnano al mondo gli orrori di Gaza. Ogni giorno c’è un diplomatico o un propagandista israeliano che con le sue frasi inaudite erode la credibilità e la legittimità di Israele“. Le marce occidentali per la pace “sono state oceaniche e in stragrande maggioranza pacifiche nonostante le cornacchie malevoli. I sondaggi mostrano un opinione pubblica stanca e indignata” in Europa e Nord America. Un’opinione pubblica che ha in larga misura orrore di Hamas, ma non vuole essere ostaggio del governo Netanyahu e rifiuta le dicotomie morali.

La risoluzione anti-Israele all’Onu

Abbassare i toni aiuterebbe Israele sul piano diplomatico e politico. L’11 novembre scorso 145 Paesi dell’Onu hanno votato una risoluzione che condannava proprio Tel Aviv per un fronte diverso da Gaza: quello degli insediamenti in Cisgiordania, sui quali partiti come Potere Ebraico, alleato del Likud, puntano elettoralmente. E nei quali la caccia al palestinese è scattata dopo gli attentati di Hamas del 7 ottobre in un’altra area del Paese.

Tutti i membri del G7 e della Nato, esclusi Usa, Canada e Ungheria, hanno votato per confermare l’illegalità delle occupazioni. Perfino Russia e Ucraina hanno votato allo stesso modo, favorevolmente. Tale risoluzione non sarebbe mai stata proposta se Netanyahu non avesse aperto alle pressioni di Itamar Ben Gvir, leader di Potere Ebraico, di spingere anche sulla Cisgiordania dopo la risposta a Hamas a Gaza.

E invece il Comitato per la Decolonizzazione dell’Onu ha promosso questo voto che ha visto Tel Aviv ricevere solo 7 voti in sua difesa. Segno del fatto che l’eccessiva durezza della risposta rischia di creare danni politici non indifferenti. Di cui Netanyahu rischia di apparire come primo responsabile per la sua hybris che ha dimenticato quanto, in politica, vendetta e rabbia non siano elementi decisivi. E spingendolo a questa reazione Hamas ha, per citare Mossetti, ottenuto una “mefistofelica vittoria”. Al prezzo ovviamente di una guerra in cui, una volta di più, a perdere sono i popoli.