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Per gli italiani il mondo del calcio non merita ristori

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Gli Italiani non hanno dubbi: il mondo del calcio non merita ulteriori ristori e aiuti perché viene considerato un universo già particolarmente ricco che non necessita di misure di aiuto da parte dello Stato. L’indagine, condotta dalla società SWG che progetta e realizza ricerche di mercato, di opinione, istituzionali, studi di settore e osservatori è stata svolta per Inrete, società di consulenza in Relazioni Istituzionali e Advocacy, e ha evidenziato come per gli italiani, che si tratti o meno di tifosi, il tanto amato sport nazionale non meriti più di essere aiutato.

L’indagine, realizzata attraverso questionari online con la metodologia C.A.W.I (Computer Assisted Web Interviewing) è stata condotta nel mese di giugno 2022 su un campione rappresentativo della popolazione italiana per età, livello di scolarità, area geografica e ampiezza del centro di residenza secondo i più recenti dati ISTAT al fine di garantirne la rappresentatività rispetto alla popolazione di riferimento per gli stessi parametri.

Il pallone è sgonfio: calcio italiano in difficoltà per 9 su 10

Secondo il sondaggio per 9 su 10 la quasi totalità, il calcio versa in condizioni difficili. Per la metà di chi si è fatto un’opinione la crisi è addirittura così grave da necessitare di una vera e propria rivoluzione per poter sopravvivere. Questa opinione è condivisa soprattutto tra gli over 55 (56%) e tra chi non segue il calcio (58%).Ma anche per gli under 35, i tifosi del futuro, la fase è comunque delicata e richiederebbe delle riforme. Invece solo il 7% del totale degli intervistati ritiene che il sistema si stia assestando e che abbia imboccato la strada giusta per tornare a crescere, e appena il 4% che il comparto sia in salute. Sullo sfondo campeggia una disaffezione che allontana un terzo degli italiani dall’argomento.

E’ tempo di spending review per rilanciare il sistema

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso, sembrano dire gli italiani. Di fronte alle difficoltà il monito che arriva dagli intervistati è infatti quello di ridurre gli sprechi, anche a scapito della competitività, per ripartire da basi più solide. Lo sostiene chi non ama il calcio (83%), ma anche gli appassionati (76%). Per il 78% del totale del campione il sistema dovrebbe concentrarsi a sistemare i conti per gettare basi solide per il futuro e la percentuale sale all’85% per gli over 55. Indice di come il futuro del pallone non possa che passare da una razionalizzazione interna anziché da un indebitamento continuo. Pena, come emerge, la disaffezione di una sempre più ampia fetta di popolazione. Infatti, solo il 22% vorrebbe si puntasse sull’aumento dei ricavi, investendo per essere competitivi anche in Europa.

Decreto crescita: per 7 su 10 il calcio non dovrebbe beneficiarne

Sul fronte di ristori e aiuti il giudizio è implacabile: il sistema calcio non li merita. Dal 1 gennaio 2020 il mondo del pallone ha potuto beneficiare del Decreto Crescita, un regime di tassazione agevolata per lavoratori residenti all’estero che si impegnino a lavorare in Italia per almeno due anni. Nel calcio questo ha favorito l’ingaggio di campioni di livello internazionale da parte dei club italiani. Secondo il 69% degli intervistati però si tratta di una scelta sbagliata: anziché favorire il risparmio, questo provoca un ulteriore aumento degli ingaggi ai calciatori e addirittura per il 47% il mondo del pallone è già troppo ricco e sprecone e non dovrebbe godere di questi aiuti. Solo gli under 35, ma si fermano a quota 29%, ritengono il calcio sia un’industria e che la misura debba valere per tutti i settori senza distinzioni.

Paolillo (Ex Ad Inter): “Basta assistenzialismo”

Proprio su questo aspetto era intervenuto Ernesto Paolillo, banchiere ed ex ad dell’Inter sul Sole 24 Ore domenica 26 giugno. Per il dirigente dell’era Moratti le società sono “incapaci di estrarre valore dalla filiera produttiva del calcio e inclini all’assistenzialismo” e “l’assegno collettivo garantito dalla cessione dei diritti tv ha indotto molti a vivere di questi ricavi senza sviluppare a dovere altre fonti di entrata”. Fonti di entrata che per Paolillo non possono venire dallo Stato: “Penso agli incentivi fiscali per importare gli stranieri del decreto Crescita e alla richiesta di ristori durante il periodo della pandemia”. Che i club abbiano sofferto per la chiusura degli stadi è innegabile, “ma non ci si può limitare a chiedere aiuti e poi continuare a spendere per acquistare giocatori con ingaggi spropositati. È un po’ un contradditorio”. Ce ne eravamo già occupati a true- news.it intervistando Nicola Sbetti, Docente di Storia dell’Università di Bologna, studioso del rapporto tra sport, politica e relazioni internazionali, membro della Società Italiana della Storia dello Sport e del European Committee for Sport History che, a proposito della richiesta di ristori, aveva invitato le squadre di Serie A a fare pulizia in casa propria prima di invocare soldi pubblici.

Vanni-Spaziante: “Il calcio ha perso”

Un’analisi condensata anche nel libro “Il calcio ha perso. Vincitori e vinti nel mondo del pallone” (Mondadori), scritto dai giornalisti Franco Vanni e Matteo Spaziante. “Da tempo la Serie A spera di intercettare aiuti pubblici, ma intanto non riesce a far fruttare il patrimonio che già ha. A partireproprio dagli stadi: vecchi, spesso fatiscenti, non progettati per il calcio e di proprietà dei Comuni” si legge nel saggio. “L’indebitamento complessivo dei club di Serie A negli ultimi dodici anni è più che raddoppiato, avvicinandosi ai 5 miliardi di euro. Le società che bruciavano cassa già prima del Covid con la pandemia si sono trasformate in inceneritori, e hanno persino il coraggio di chiedere i ristori?”.

Una voglia di cambiamento a 360 gradi

Da qui la necessità di riforme a tutto tondo invocate dal grande pubblico e che siano di lungo termine. Tra queste l’incentivo agli investimenti sui vivai per favorire la crescita dei giovani calciatori (favorevole il 91% degli intervistati), l’introduzione di un salary cap europeo per stabilire un tetto massimo agli stipendi dei calciatori (90%), la forte limitazione del potere dei procuratori e contenerne le richieste di commissioni (90%) la revisione del modello di concessione dei diritti tv del calcio (89%), lo sviluppo del calcio femminile garantendo parità di condizioni rispetto a quello maschile (85%) e lo snellimento delle procedure della PA per favorire la costruzione di stadi di proprietà da parte dei club (81%). Un po’ più freddi rispetto ai plebisciti delle voci precedenti, ma comunque al 62%, coloro che consentirebbero ai club di organizzare autonomamente tornei indipendenti dalle Federazioni nazionali e internazionali.

Fondi d’investimento in serie A: un impatto ampiamente positivo

In questo scenario a tinte fosche, quello dell’ingresso dei fondi di investimento rappresenta per 7 intervistati su 10 un fattore ampiamente positivo, che potrà giovare al calcio italiano potrà. Negli ultimi anni il sistema si è aperto alle proprietà straniere e ai fondi dell’investimento, basti pensare a Milan, Inter, Roma e Atalanta, oggi controllate da investitori esteri. I fondi ne rilanceranno la competitività, con elevate aspettative tra i tifosi, ma sulla sostenibilità dei modelli di business sarà il tempo a dire la verità. In generale, infatti il 68% ritiene che la Serie A potrà trarne dei benefici ed essere più competitiva (35%), più sostenibile (18%) ed entrambe le cose (15%) soprattutto tra gli under 35.