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La guerra della Gazzetta dello Sport a Rocco Commisso

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Un alieno sbarcato da Marte nei giorni del chiacchieratissimo passaggio del talento serbo Vlahovic alla Juventus potrebbe essere assalito da un dubbio: ma quell’Urbano Cairo che a ottobre se la prendeva con l’avidità di calciatori e procuratori in scadenza di contratto (“Via a zero? E’ ingiusto, le società dovrebbero avere un indennizzo”) è lo stesso Urbano Cairo editore della Gazzetta dello Sport o un altro, passato lì per caso?

Perché tra il primo e il secondo Urbano Cairo – osserva l’alieno sbarcato da Marte, leggermente confuso – passa tutta la differenza di questo mondo. Il primo, che è anche presidente del Torino in procinto di veder volare via capitan Belotti senza incassare un euro, aveva giustamente il nervo scoperto per una prassi che sta contribuendo a spolpare i già esangui bilanci dei club calcistici, messi in ginocchio dal Covid e da conseguenze che faranno sentire i loro effetti ancora per anni. Il secondo, editore del più importante quotidiano sportivo italiano, da giorni assiste all’attacco concentrico della sua creatura contro il patron della Fiorentina, Rocco Commisso, reo di aver mollato Vlahovic all’esterna rivale Juventus per oltre 70 milioni di euro a 18 mesi dalla scadenza di un contratto che non aveva nessuna possibilità di rinnovare. La ragione? Scelta del calciatore e del suo entourage, comunicata per tempo urbi et orbi non senza spargimento di sangue (mediatico).

Ora, la domanda dell’alieno è legittima. Anche perché i capi d’accusa portati contro il Commisso dalla Rosea sono molteplici e corredati da dati e tabelle. In sostanza, il magnate statunitense avrebbe dovuto tenere duro, rifiutare qualsiasi avance anche a costo di rimetterci una montagna di soldi, rispettare la promessa fatta ai tifosi della Fiorentina di non cedere l’attaccante. Non solo. Sarebbe colpevole di aver ereditato un gioiello che macinava utili e risultati (!?!) dalla famiglia Della Valle pagandolo 130 milioni di euro e di averci pure guadagnato, avendo messo in vetrina tutti i pezzi pregiati da Chiesa in poi incassando 200 milioni. E’ possibile che, se qualcuno si fosse presentato nei mesi scorsi dal Cairo presidente del Torino con in mano un assegno di 20-30 milioni di euro per il renitente Belotti, lui sarebbe stato ben felice di incassare fregandosene dei pensieri della sua piazza ma tant’è. Non è detto che qualcuno debba pensarci mentre spara a pallettoni su Rocco, accusato di essere “abituato a parlare molto in pubblico, esternare giudizi su chiunque e a lodarsi da solo”. 

Le origini della distanza tra Gazzetta e Commisso sono non troppo recenti e affondano in questioni di politica sportiva, nel tentativo (fallito) della Viola di infilare i suoi uomini nella stanza dei bottoni della Lega e nel rapporto burrascoso tra il patron americano e la stampa italiana. Non sempre Commisso ha usato argomenti e modi giusti, va detto. Prima dell’estate ha messo in piedi una conferenza stampa di un paio d’ora attaccando tutto e tutti compreso Urbano Cairo (“Ditemi che ha fatto anche il Torino, che c’è quel genio che capisce di calcio, il proprietario della Gazzetta”), creandosi non pochi nemici anche dentro via Solferino. Allora il vicedirettore Di Caro gli recapitò un editoriale al veleno poi divenuto oggetto di querela perché Rocco non accettava di essere accostato (secondo sua denuncia) al vecchio stereotipo dell’italiano in America, paisà tutto spaghetti e toni da gangster. Riferimenti che, la Fiorentina si è precipitata a puntualizzare, sono già stati dichiarati diffamatori dal giudice di Cagliari. Era metà gennaio. Poi il caso Vlahovic ha travolto tutto.