Home Sports Gli americani (e la Serie A) dichiarano guerra ai procuratori

Gli americani (e la Serie A) dichiarano guerra ai procuratori

Gli americani (e la Serie A) dichiarano guerra ai procuratori

Lo scontro tra Danilo Iervolino, proprietario della Salernitana, e Walter Sabatini (ex) direttore sportivo licenziato sui due piedi per una questione di commissioni a un agente è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso. I club italiani si sono stancati di spendere decine di milioni di euro per avvalersi di servizi utili ma non del tutto richiesti. Un conto salatissimo, se è vero che nel 2021 l’esborso alla voce intermediazioni è stato di 174 milioni di euro (un miliardo sommando dal 2015 a oggi). In attesa che la FIFA vari il nuovo regolamento con sulla carta limitazioni strette e vincoli per non moltiplicare mandati e incassi, la rivolta viene dal basso e non è detto che sia frutto del caso che tutto avvenga in un campionato in cui si moltiplicano le proprietà straniere di matrice americana.

Lo sa bene il Milan

I tifosi del Milan lo hanno capito da almeno un anno, da quando hanno visto partire a parametro zero Donnarumma e Calhanoglu anche per il rifiuto di Elliott di rimanere incastrato nella rete delle agenzie di procuratori e intermediari. Quel fitto reticolo che si traduce in spese a volte difficili da giustificare secondo logica: bonus alla firma o fedeltà per rinnovare contratti, mandati in uscita e ingresso, percentuali su future rivendite.

Quest’anno si replica, sia a Casa Milan che altrove: il senso di insoddisfazione è sempre crescente. Molti nuovi proprietari hanno imposto standard differenti ai propri dirigenti, liquidando le pendenze del passato con un certo fastidio e imponendo una netta inversione di tendenza.

Rivoluzione made in Usa

Alla Roma, ad esempio, i Friedkin hanno cancellato con un tratto di penna le percentuali versate agli intermediari in operazioni di vendita di propri calciatori; del resto pagano già un direttore sportivo che tratta, quando arrivano le offerte, e non vedono quale possa essere l’utilità di affidare il mandato a un consulente esterno.

E in caso di acquisto sono disposti a riconoscere al massimo una percentuale del 10% sull’ingaggio lordo del calciatore, con un meccanismo di fidelizzazione che dovrebbe incentivare l’agente a prolungare la permanenza del suo assistito nella Capitale invece che studiare come portarlo via dopo un paio di stagioni.

I primi contrari

Chi storicamente ha dichiarato guerra alle commissioni sono stati Lotito e De Laurentiis, fino ad ora isolati nel panorama di un calciomercato in cui gli altri erano disponibili a elargizioni sempre maggiori. Ora il vento è cambiato e ad agire alla vecchia maniera sono rimaste due big: Juventus e Inter che sono anche le due società che nel 2021 hanno messo a bilancio le cifre più alte, rispettivamente 28,9 e 27,5 milioni di euro.

In larga parte frutto anche dell’esigenza di alimentare con la politica dei parametri (quasi) zero il proprio mercato, così da far tornare i conti nell’equilibrio di cassa in annate dal bilancio devastato dalla crisi pandemica.

Un colpo per la Serie A?

Il rischio è che questa svolta virtuosa indebolisca ulteriormente la Serie A nel confronto internazionale. Altrove, infatti, non si fanno grossi problemi come dimostrano i numeri della Premier League: Haaland è costato al Manchester City quasi più in prebende ad agenti e padre del giocatore (40 milioni) che in clausola rescissoria per il Borussia Dortmund (65). Il piano di tagli funzionerà, insomma, solo se nel frattempo la FIFA riuscirà davvero a dare dei limiti al fenomeno regolando il mercato mondiale. Gianni Infantino si è impegnato anche nel corso dell’ultimo congresso e a parole ha dichiarato guerra a quello che ritiene uno dei meccanismi più pericolosi per stabilità e sviluppo del sistema pallone. Fin qui, però, sono rimaste solo intenzioni sulla carta e la prima stretta ha riguardato i prestiti. Ora la spinta dal basso potrebbe favorire il secondo step.