Home Politics Migranti e sbarchi, Matteo Villa (Ispi): “Covid? Così cambiano le rotte e i confini, non esiste un fattore Ong”

Migranti e sbarchi, Matteo Villa (Ispi): “Covid? Così cambiano le rotte e i confini, non esiste un fattore Ong”

bonaccini

Naufragi, sbarchi, speronamenti, affollamenti nei centri d’accoglienza, richieste di aiuto e accuse. Dal Mediterraneo tornano notizie di un’emergenza che, dopo anni di parziale tregua, sembra riproporre scenari di crisi, se non di vera e propria guerra.
Ma è realmente così? Un dossier dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, curato dal reaserch fellow Matteo Villa, prova a fotografare il reale stato delle migrazioni nel nostro paese.

Dottor Villa, in Italia è di nuovo emergenza sbarchi?

Non parlerei di “emergenza”, un termine soggettivo e che spesso rimanda a questioni politiche. I numeri invece ci possono dare un quadro oggettivo di una situazione a metà. Oggi siamo lontani dai numeri del periodo apicale, quando tra il 2014 e il 2017 registravamo tra i 110mila e i 180mila sbarchi, ma ci stiamo anche avvertendo una risalita. Siamo passati dai circa 11mila sbarchi del 2019 a circa 50mila degli ultimi 12 mesi. Ma una prima domanda da porsi è se gli sbarchi siano ancora in aumento rispetto ai numeri attuali: al momento diversi indicatori fanno pensare, al contrario, che i numeri si stiano stabilizzando intorno ai 50.000 l’anno, un numero significativo ma che rappresenta un terzo del picco registrato nel 2017, siamo ancora molto lontani da numeri della cosiddetta emergenza.

Il nostro sistema d’accoglienza è sotto pressione?

In mare cominciano a registrarsi sempre più situazioni critiche che coinvolgono anche i luoghi di sbarco (ad esempio le isole, come Lampedusa) con un’emergenza che è però dettata da questioni di policy più che dai numeri. Il sistema di accoglienza italiano ha fatto registrare il primo aumento nel numero di migranti, che rimangono molto più tempo CAS – centri di accoglienza straordinaria – perché la politica immigratoria italiana si è irrigidita negli ultimi anni, rallentando i ricollocamenti rapidi sul territorio nazionale. I centri per l’accoglienza ordinaria – nel tempo SPRAR, poi SIPROIMI e infine SAI – sono semivuoti: accolgono 25mila persone su 76mila arrivati. Questo è il vero motivo per cui sentiamo dire “gli hotspot sono al collasso”.

Quanto hanno inciso due fattori, uno storico, le Ong e uno nuovo, il Covid, nella ripresa degli sbarchi?

I dati dimostrano come non esista un “fattore Ong”, le imbarcazioni di soccorso di fronte alle coste libiche non incidono in misura significativa sul numero di migranti che partono da quelle coste. L’UNHCR e IOM hanno dimostrato come dal 2019 non ci siano modifiche del numero di partenti dalla Libia in base alla presenza o meno di Ong in mare. Ad oggi, 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane senza l’aiuto delle imbarcazioni delle Ong (circa il 15% degli sbarchi). La “gestione Lamorgese” ha determinato un cambio di strategia nei confronti delle Ong: dal rallentamento dello sbarco del periodo Salvini si è passati all’utilizzo di ostacoli amministrativi per impedire la partenza. In generale, le presenze di imbarcazioni di Ong nel Mediterraneo è aumentato, anche se continuano ad avere un ruolo marginale negli sbarchi in termini numerici. Al contrario del Covid, che invece ha certamente contribuito all’aumento della pressione migratoria irregolare.

In che modo?

La pandemia ha determinato la regionalizzazione delle rotte dei migranti, questo significa che i migranti irregolari tendono a compiere tragitti più brevi rispetto a prima. È diventato molto più difficile passare tante frontiere e quindi in Italia arrivano principalmente dal Maghreb, mentre dall’Africa Sub-sahariana si cercano porte di accesso più vicine, come le Canarie o il Marocco. I flussi dal Niger e dal Sudan verso la Libia – di enorme portata tra il 2014 e il 2017 – si sono enormemente ridotti: oggi in Italia arrivano migranti che sono da molti anni in Libia, che magari sono stati respinti dalla guardia costiera libica. La regionalizzazione sta modificando il fenomeno migratorio: nel breve periodo, stiamo osservando l’arrivo da paesi vicini e una sorta di scoraggiamento di partenze da paesi lontani. Non è detto che sia un fenomeno destinato a durare.

Pochi giorni fa la Camera ha approvato il rifinanziamento della Guardia Costiera libica. Com’è la situazione nel Paese?

Identica a quella degli scorsi anni, anche se all’orizzonte sembra profilarsi un possibile peggioramento. A marzo 2021 si è insediato un nuovo governo di unità nazionale che, malgrado l’Italia non abbia contribuito a insediarlo, sembra fare il nostro gioco, bloccando i partenti e cercando accordi col governo di Roma. Con la pandemia i centri di detenzione sembravano svuotarsi (i migranti reclusi erano passati dai 6mila nel 2019 a circa mille degli scorsi mesi), ma nel 2021 il numero dei detenuti è tornato a crescere, fino a raggiungere quota 5mila (senza contare le migliaia di persone detenute fuori dalle cifre ufficiali). Nel paese sono ospitati circa mezzo milione di stranieri, che vivono in libertà anche se in condizioni di estrema povertà, persone che lavoravano nel paese prima della guerra civile. È probabile che queste persone possano mettersi in viaggio nel futuro.

L’Italia è lasciata sola nella gestione dei migranti?

Sì, in parte è inventabile che sia così: l’unico punto su cui i 27 paesi europei sembra d’accordo è l’esternalizzazione della gestione dei migranti. L’Italia continua a essere “lasciata sola” dall’Europa, ma è doveroso fare una postilla. La farraginosità delle regole di Dublino (la cui riforma proposta dalla Commissione sembra in alto mare) in qualche modo avvantaggiano il nostro paese, che proprio per la mancata applicazione dei regolamenti può lasciar passare i migranti verso altri stati europei. Tra il 2014 e il 2021 in Italia sono sbarcati più di 700mila migranti, ma il numero di stranieri presenti sul nostro suolo è rimasto pressoché identico (crescendo solo del 2%, da 4,92 a 5,04 milioni di persone). In dieci anni all’Italia sono arrivate 300mila richieste di riprendersi migranti, di cui il nostro paese ne ha accolte solo 30mila. Il mancato rispetto di Dublino controbilancia l’inefficacia dei ricollocamenti.

L’Italia come potrebbe gestire la situazione nel prossimo futuro?

È necessario pragmatismo, troppo spesso le politiche migratorio vengono fatte con la retorica della pancia. È fondamentale osservare i dati per comprendere quali sono i fattori cruciali nella valorizzazione delle politiche adottate, che devono essere definite: che si parli di apertura di canali regolari, richiedenti asilo, integrazione. Serve una narrazione onestà sulla migrazione, in grado di comprendere tutte le sfide che la questione porta.

di Stefano Marrone