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La morte di un clochard italiano ci racconta cos’è il Giappone

La morte di un clochard italiano ci racconta cos’è il Giappone

Perché questo articolo potrebbe interessarti? La morte di un cittadino italiano in centro per l’immigrazione di Tokyo ha riacceso i riflettori sulle durissime politiche migratorie del Giappone. La tolleranza zero giapponese contro chiunque violi la legge sull’immigrazione ha sempre attratto i sovranisti europei. E questo al netto delle enormi differenze culturali e politiche che rendono vano ogni tentativo di imitazione. Sfumato l’incontro tra Giorgia Meloni e il premier nipponico Fumio Kishida all’ultimo G20 di Bali, i due leader potrebbero fissare presto un nuovo faccia a faccia. Per parlare di geopolitica, economia e, forse, anche di immigrazione.

La storia del clochard italiano morto in Giappone

Un cittadino italiano di 56 anni, Gianluca Stafisso, si sarebbe tolto la vita lo scorso 18 novembre in Giappone. L’uomo, un clochard originario di Assisi, si era stabilito nel Paese asiatico dieci anni fa. La sua storia è complessa e delicata, ma emblematica del modus operandi giapponese in tema di politica migratoria. Nel 2020 Stafisso diventa un senzatetto perché non più in regola con i documenti per l’immigrazione. La polizia lo porta in cella, dove resta per 21 giorni. In seguito l’uomo avrebbe cercato invano di tornare in Italia. Avrebbe anche chiesto più volte, invano, di essere messo in regola. La doppia fumata nera, agli occhi del sistema giapponese, trasforma Stafisso in un immigrato.

Per due anni il 56enne ha vissuto per strada, sotto un ponte nella periferia di Tokyo. Senza permesso di soggiorno, Stafisso ha più volte fatto avanti e indietro dai famigerati centri di detenzione nipponici per gli immigrati irregolari. Dal 25 ottobre l’uomo si trovava presso l’Immigration Services Agency di Tokyo. Il 18 novembre le autorità della struttura lo hanno ritrovato senza vita. Si ritiene che si sia suicidato rimanendo fulminato. È il 18esimo cittadino straniero ad essere morto nelle strutture per l’immigrazione a livello nazionale dal 2007. Il sesto a suicidarsi.

Il Giappone, paese conservatore sull’immigrazione

Il Giappone è un Paese conservatore sul tema dell’immigrazione. Secondo la legge in vigore nel Paese, chi non è in regola con i permessi di soggiorno per vivere e lavorare non può lasciare la nazione. Chi viene giudicato irregolare viene inoltre portato nei centri per l’immigrazione in attesa di accertamenti da parte delle autorità locali. L’Italia si trova in un contesto ben diverso. In seguito all’elezione del nuovo governo di Giorgia Meloni, l’immigrazione è tuttavia tornata ad occupare i primi posti dell’agenda politica italiana. Roma sta cercando in tutti i modi di limitare il flusso di migranti provenienti dalla cosiddetta rotta libica. Anche a costo di rotture diplomatiche con altri partner europei.

Giappone e migranti: un modello imitabile?

Da questo punto di vista, Meloni potrebbe parzialmente prendere appunti dal Giappone? Del resto provò a farlo anche Matteo Salvini, nel 2019, ai tempi del governo gialloverde. Abe Shinzo, all’epoca premier giapponese, si trovava in Italia per una visita istituzionale. Il leader della Lega approfittò per l’occasione per incontrarlo a Roma. Fonti del Carroccio affermarono che tra i due ci fu una “piena condivisione” sui temi di politica economica, sociale e controllo dell’immigrazione. Che poi sia pressoché impossibile, per l’Italia, “copiare” le politiche economiche e migratorie del Giappone, poco importa. L’importante era sfruttare l’occasione per prendere appunti.

Meloni avrebbe dovuto incontrare Fumio Kishida a Bali. Tra Italia e Giappone i rapporti sono cordiali e distesi, e dunque non dovrebbero esserci problemi per fissare, appena sarà possibile, un nuovo faccia a faccia. La premier italiana tirerà in ballo il tema dei migranti? Difficile dirlo. Si può solo ipotizzare. In ogni caso, laddove possibile, Meloni farebbe bene ad annotare soltanto le parti migliori del sistema migratorio giapponese. Il motivo è presto detto: il Giappone è più volte finito nell’occhio del ciclone, accusato di ledere i diritti umani dei migranti irregolari. Ecco perché (provare a) imitare un modello del genere, per l’Italia, sarebbe un clamoroso autogol.

Il modus operandi di Tokyo

“Le autorità hanno continuato a utilizzare la legge sul controllo dell’immigrazione e il riconoscimento dei rifugiati per detenere a tempo indeterminato cittadini stranieri privi di documenti, inclusi migranti irregolari e richiedenti asilo, fino alla loro espulsione”, si legge in un report di Amnesty International. Chi non è in regola, insomma, finisce in uno dei centri per l’immigrazione in attesa di una sorta di permesso temporaneo. Alla scadenza del quale, nella maggior parte dei casi, scatta una nuova detenzione.

I fortunati devono sottostare a restrizioni rigidissime durante il rilascio. Non possono lavorare, aprire un conto bancario, ottenere un telefono o lasciare la propria area di residenza senza autorizzazione. In pratica è impossibile aderire alle condizioni del rilascio provvisorio, dal momento che diventa complicato persino trovare un lavoro. Nel 2017 il governo nipponico ha accettato 20 domande di rifugiati su 19.628. Nel 2018, 42 domande di rifugiati su un totale di 10493.

 

La scheda di Amnesty International sul Giappone