Home Pharma “È l’ora del Tech Transfer, una lingua per tradurre la ricerca in industria”

“È l’ora del Tech Transfer, una lingua per tradurre la ricerca in industria”

“È l’ora del Tech Transfer, una lingua per tradurre la ricerca in industria”

La missione? “Creare un punto di collegamento fra ricerca e impresa” dove “adattare contenuti scientifici a contesti industriali e attivare linguaggi che sono l’esatta via di mezzo fra ricerca e industria”. L’ingegnere Salvatore Majorana, Direttore del campus “Kilometro Rosso” di Bergamo, ha una storia che parla per lui sul trasferimento tecnologico. L’espressione “tech transfer” oggi è sulla bocca di tutti, a cominciare da quanto si legge nei decreti governativi e nelle relazioni delle task force che hanno accompagnato la politica in epoca pandemica. In passato collaboratore a Genova dell’attuale ministro Roberto Cingolani all’Istituto Italiano di Tecnologia, dove si stava costruendo l’area del tech transfer che nel giro di sei anni ha portato a generare 17 nuove startup con 550 brevetti in gestione, dal 2017 Majorana guida il Parco scientifico tecnologico della bergamasca, nato a inizio anni Duemila da un’intuizione di Alberto Bombassei, e che mira “a riunire aziende anche molto diverse nello stesso luogo fisico per condividere esperienze, conoscenze e know how” con lo scopo di “rinnovare prodotti e processi da portare sul mercato”.

Kilometro Rosso, eccellenza nella ricerca scientifica


Di fatto, lo definisce l’ingegnere, “il Kilometro Rosso è un agente del trasferimento tecnologico con la funzione di creare spazi, luoghi e occasioni per far incontrare gli specialisti del settore”. In tempi normali in quegli “spazi” e quei “luoghi” si riuniscono 14mila persone ogni anno. All’interno di 140 eventi aggregativi “di carattere divulgativo o business”. Oltre ai laboratori fisici all’interno del campus. I settori prevalenti vanno dalla meccanica, alla meccatronica, passando infine per le scienze dei materiali e scienze della vita. Proprio in quest’ultimo campo si sono focalizzate due delle più recenti e significative “esperienze di eccellenza nella ricerca scientifica” dice Majorana. Da una parte il ruolo dell’Istituto Mario Negri, che è approdato al Kilometro Rosso nel 2010, e “costituisce un massimo nella capacità di generare ricerca innovativa e impatto” dice l’ingegnere. Dall’altra la prima partnership con un’azienda pharma. Un investimento iniziale di 1,5 milioni di euro per realizzare il Centro di Ricerca di Sofar, affermata realtà lombarda specializzata in prodotti farmaceutici, integratori alimentari e dispositivi medici di alta qualità che ha scommesso con un importante investimento nella realizzazione di un laboratorio per analisi microbiologiche legate al mondo del microbiota e dei probiotici.

Si tratta di un investimento di peso. Perché tra i temi cruciali di sottofondo c’è proprio l’importanza di ricerca e sviluppo nel settore privato: come già raccontato in più occasioni da True Pharma, la Lombardia (e la provincia di Bergamo) sono ai primi posti in Europa nel campo delle scienze della vita in termini di “manifattura” e valore aggiunto prodotto. Tanto da potersi confrontare ad armi pari con i maggiori distretti europei del settore, dalla Catalogna al Baden-Wurttemberg. Ciò che manca in Italia e la fa scivolare in basso nelle classifiche internazionali è propria la ricerca, a cominciare dalla pubblicazioni, e la capacità di tradurla in brevetti e processi. “Siamo ai primi posti in Europa per valore aggiunto sulla manifattura – spiega Majorana a True Pharma – ma raramente accade che le competenze presenti su questo territorio riescano a dialogare in maniera armoniosa, spesso manca la capacità di adattare contenuti scientifici a contesti industriali”. “Il nostro compito è proprio questo: generare quei meccanismi e quei linguaggi che consentano di parlare gli uni con gli altri per liberare ricchezza” perché “ci sono le conoscenze, c’è la capacità delle imprese, ma se non si mettono a fattor comune questi due elementi rimangono contenitori che non generano valore aggiunto ulteriore”.

Progetti finanziati dall’Ue e bisogno di investimenti

Come fare tutto ciò? Uno degli strumenti ideale per reperire risorse, risponde Salvatore Majorana, “sono i progetti finanziati dall’Unione Europea che premiano, e in un certo senso costringono, a creare dei consorzi che sono sia cross-disciplinari e cross-border”. Significa il coinvolgimento su larga scala di enti di ricerca e atenei (Università di Bergamo, Pavia, l’Università Bicocca di Milano, il Politecnico ma anche atenei internazionali) per “andare a ricercare le competenze lì dove sono, cioè nel sistema universitario con una fitta rete di collaborazione e la condivisione di programmi di sviluppo e competenze delle aziende affiancate dai centri di ricerca”.

C’è bisogno di investimenti nel settore. Se è vero che proprio nel 2020 è stato stanziato mezzo miliardo di euro per il trasferimento tecnologico, è altrettanto vero che mediamente in Italia ogni ateneo alloca circa 3,5 risorse umane sul tech transfer, stando ai dati Netval, l’associazione nata in risposta alla legge Tremonti del 2001 che riunisce 63 Università e 13 enti pubblici di ricerca, e che mira a valorizzare la ricerca universitaria nei confronti del sistema economico ed imprenditoriale. Numeri troppo bassi. Con cui è difficile ottenere risultati e i dati, per esempio quelli presentati da Assolombarda alla Camera dei Deputati non più tardi del 17 aprile, sulle startup innovative in Italia lo dimostrano chiaramente, collocando la penisola alla 19esima posizione in Europa. Majorana lo dice con una formula: “Serve budget, certo, ma anche professionalità e mobilità”. Perché secondo lui “c’è bisogno di persone che abbiano fatto esperienza nell’impresa, che sappiano gestire relazioni con i finanziatori e che siano in grado di tradurre nel linguaggio dell’industria ciò che nasce nella ricerca”.

“Capacità di tradurre la ricerca in prodotti e processi”

Nei mesi della pandemia il Kilometro Rosso ha sofferto, come tutte le realtà per vocazione votate all’aggregazione, in questo caso di energie e cervelli. I 70 Resident Partner fra aziende, laboratori e centri di ricerca presenti nel sito per complessivi 2mila tra addetti e ricercatori che gestiscono 35 progetti di ricerca e sviluppo finanziati per oltre 133 milioni di euro e 580 brevetti depositati, si sono dovuti reinventare. Concentrandosi da un lato sulla ricerca di soluzioni pratiche per continuare a operare (termo scanner, gestione degli spazi fisici, risorse umane etc.) ma allo stesso tempo attivando una fase di sperimentazione con l’Istituto Mario Negri per diventare una sorta di “campo-test”, chiamando a raccolta le aziende che volessero testare per esempio dei tamponi.

Cosa succede ora? Majorana non ha grandi dubbi sul settore privato o almeno su alcuni dei comparti chiave. “La sensazione – dice – è che il mondo pharma non abbia subito lo stop forzato di vari comparti industriali che hanno dovuto rallentare, fermarsi o vedere gli ordini in calo. Infatti i piani fatti prima della pandemia da parte di grandi multinazionali in procinto di insediarsi nel Kilometro Rosso sono stati confermati nonostante un anno e mezzo di lavori fermi e l’impressione è che la ripartenza porterà almeno a un ritorno degli investimenti pianificati a livello nazionale e dei piani industriali nel nostro Paese”. “Quello che mi auguro è che la stessa direzione sia percorsa meglio e di più dai nostri governi nazionali, stanziando le risorse e fornendo il mandato ai ricercatori di rendere più pratica e applicativa la ricerca”. “Perché – chiude l’ingegnere – quello che sta mancando oggi è la capacità di tradurre la ricerca in prodotti e processi”.