La girandola giudiziaria milanese sull’urbanistica ha trovato un nuovo capitolo: la Cassazione ha dichiarato “inammissibile” il ricorso della Procura di Milano contro le ordinanze di revoca degli arresti per Manfredi Catella, ceo di Coima, Alessandro Scandurra della Commissione paesaggio e Andrea Bezziccheri, patron di Bluestone. Il verdetto – depositato dalla sesta sezione penale dopo l’udienza di mercoledì – conferma in pieno le decisioni del Tribunale del Riesame, che aveva già spezzato (non senza polemica) l’impalcatura cautelare montata dai pm, lasciando liberi i tre indagati della maxi-inchiesta sull’urbanistica meneghina.
L’impianto accusatorio (sgretolato)
La Procura milanese si era battuta contro i provvedimenti del Riesame, giudicati pieni di “mancanza, apparenza e manifesta illogicità della motivazione”. Secondo i pm Petruzzella, Filippini, Clerici e l’aggiunta Siciliano il risiko dei rapporti tra imprenditori e Commissione paesaggio andava letto unitariamente e come “sistema”, non attraverso una “disanima atomistica”. Insomma, un colpo d’occhio complessivo avrebbe dovuto dissolvere ogni dubbio sulla correlazione tra funzione pubblica e vantaggi privati. “Il Tribunale ha smontato l’orologio per dimostrare che nessun singolo ingranaggio è un orologio”, annotano i pm.
Le ragioni del Riesame e della Cassazione
La sostituta procuratrice generale di Cassazione Cristina Marzagalli, invece, non si è lasciata convincere dalla narrazione degli inquirenti: “Le risultanze in atti non dimostrano la formazione, né l’operatività di un accordo corruttivo tra Scandurra e Catella – non potendosi sostenere che i pagamenti delle fatture da parte di Coima siano riconducibili ad un accordo corruttivo anziché correlate ad attività professionale effettivamente prestata da Scandurra e regolarmente contabilizzata”. Nessuna traccia, quindi, nemmeno di indebite pressioni o sollecitazioni sui colleghi della Commissione nella seduta chiave (quella sul progetto Pirellino). La Commissione – fa notare la Suprema Corte – è formata da undici membri, e “non vi sono evidenze di contributi determinanti o fondamentali da parte di Scandurra”.
Nonostante il “doppio stop” di Riesame e Cassazione, i pm non sembrano intenzionati a sventolare bandiera bianca. Potranno, a questo punto, solo decidere se prendere atto dell’archiviazione cautelare o proseguire sul solco già tracciato fino all’eventuale richiesta di processo. Rimane il fatto che, almeno sul piano cautelare, la montagna dell’accusa ha partorito il classico topolino. Almeno ad oggi.
Il retroscena: un sistema sotto la lente
A monte resta il sospetto – le cui ombre però nemmeno la Cassazione riesce a dissipare del tutto – che una certa opacità abbia innervato la gestione urbanistica milanese, già segnata da altre inchieste parallele (fra corruzione, abusi edilizi, lottizzazioni e falsi in atti). Il sequestro di cantieri, torri e grattacieli, pur trasversalmente citato dai pm, non è bastato a dare fondamento solido alle esigenze cautelari.
