Home Economy Cdp sul gas smentisce Cingolani: quattro anni per smarcarsi dalla Russia

Cdp sul gas smentisce Cingolani: quattro anni per smarcarsi dalla Russia

Cdp sul gas smentisce Cingolani: quattro anni per smarcarsi dalla Russia

Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) sul gas contraddice le dichiarazioni più ottimistiche di Mario Draghi e, soprattutto, Roberto Cingolani sulle prospettive di indipendenza dal gas russo in un paio di anni espresse più volte dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.

Cdp e la sicurezza energetica: focus sul Tap

Il report della banca pubblica di Via Goito, Sicurezza energetica: quali prospettive oltre l’emergenza?, recentemente pubblicato, mostra che la tempistica minima per ottenere tale obiettivo è di quattro anni, pur senza fare previsioni esplicite. Da cosa lo si capisce? Dal fatto che Cdp indica in quattro anni, dunque come minimo entro la seconda metà del 2026, il tempo minimo per realizzare l’opera energetica più strategica in tal senso, il raddoppio del gasdotto Tap che dall’Azerbaijan porta il gas del Mar Caspio fino in Puglia.

Il raddoppio del Tap è la strategia ottimale per consolidare senza scossoni lo sganciamento dal gas russo. Cdp dà ragione, in questo senso, a quanto dichiarato al quotidiano Il Messaggero da Luca Schieppati, managing director della società che gestisce il Trans Adriatic Pipeline. Oggi il Tap porta in Italia 7 miliardi di metri cubi su 10 massimi trasportabili. Col raddoppio, che Schieppati indica possibile in 40-50 mesi, si può arrivare a 20, dunque arrivando a togliere in forma strutturale 13 dei 30 miliardi di metri cubi di importazioni annue dalla Russia.

Le mosse di breve periodo: Gnl e fonti a portata di mano

Sul breve periodo, per Cdp, l’Italia può già fare qualcosa: il potenziamento della capacità di rigassificazione è un esempio. Al fine di aumentare la quota di gas naturale liquefatto (oggi al 13%) nel mix energetico nazionale e potenziare l’importazione da Stati come Qatar e Usa, scrivono gli analisti di Via Goito, “occorre da un lato portare a pieno regime l’impiego dei terminali esistenti, il cui utilizzo è pari a soltanto il 75% della loro capacità teorica, che coprirebbe circa il 20% del fabbisogno nazionale”, con 16 miliardi di metri cubi e un aumento di 4 miliardi. Dall’altro, “si può provvedere alla realizzazione di nuovi terminali di rigassificazione” come le navi gasiere operate da Snam che entreranno in funzione nei prossimi anni. Con 8 miliardi di metri cubi ulteriori, saremmo a 21. Nel breve periodo si può cercare, per Cdp, di operare una politica di riempimento degli stoccaggi al 90% in modo tale da ridurre sul campo la dipendenza dalla Russia per i prossimi anni.

Nel breve periodo, compresi i 3 miliardi di metri cubi extra importabili dall’Azerbaijan per far andare al pieno regime il Tap, Cdp calcola che da “Azerbaijan, Algeria, e Norvegia si potrebbero reperire ulteriori 10 miliardi di metri cubi l’anno” in un’area europea o mediterranea, con “un potenziale di ulteriori flussi in un orizzonte più ampio”. I 7 miliardi extra che Algeri e Oslo possono garantire porterebbero la diversificazione a 28 miliardi su 30 in un orizzonte quadriennale, un varco facilmente colmabile con i nuovi impianti di rigassificazione o le forniture africane da Paesi come Nigeria e Congo. Un orizzonte temporale di almeno il 50% più lungo di quello previsto a inizio conflitto da Cingolani e che non tiene conto, nello scenario prospettato da Cdp, dell’aumento dell’output dai giacimenti nazionali, non inclusi nel calcolo da Via Goito.

Gas e transizione secondo Cdp

Cdp si augura in ogni caso che Roma possa promuovere, sul medio-lungo periodo, non solo la diversificazione delle fonti di gas ma anche una pragmatica e sistemica politica di transizione energetica in grado di proiettarla come grande potenza delle rinnovabili e dell’energia di frontiera. “In un orizzonte di lungo periodo, gli attuali equilibri energetici e geopolitici potrebbero cambiare, e alcuni Paesi passare da importatori netti di energia a esportatori”, si nota. “Grazie al posizionamento strategico e valorizzando la dotazione di reti e porti l’Italia – con un ruolo centrale per le regioni del Sud – potrebbe dunque candidarsi anche come hub dell’idrogeno, fungendo da ponte tra le due sponde del Mediterraneo, riacquisendo quella centralità che il posizionamento geografico e storico le hanno sempre assegnato”. Una via per diventare potenza dell’idrogeno passa per il dual use delle infrastrutture gasiere, che dunque andranno programmate con grande attenzione a questo tema.

Del resto, nota Cdp, già adesso l’Italia vede un trend crescente di riduzione della dipendenza dall’estero grazie al lento ma inesorabile processo di inserimento delle rinnovabili nel mix energetico nazionale. Nel 1990 l’Unione Europea (contando i 27 Stati attualmente membri) era al 50% dipendente dalle importazioni energetiche, mentre l’Italia lo era all’84,4%. Oggi i dati sono, al 2021, rispettivamente del 57,5% (+13,05%) e del 73,5% (-12,92%). Questo mostra indirettamente il ruolo strategico del gas naturale. Attualmente esso esercita un peso preponderante nel bilancio energetico nazionale: “con circa 75 miliardi di metri cubi nel 2021 rappresenta, infatti, più di due quinti dei consumi interni di energia (42%) e quasi la metà della generazione elettrica (48%)”. Ma è anche l’unica risorsa fossile capace di essere “ponte” per la transizione. Vero obiettivo del sistema-Paese. A cui il decoupling della Russia può e deve contribuire. Pensando a un’agenda per il Paese orientata ai prossimi decenni. Quattro anni non sono poi molti. A patto di mettere allo studio politiche sostenibili ed efficaci.