Un fondo da 44 miliardi di euro. Obiettivo? Tutelare i “gioielli produttivi” e “contribuire a traghettare il Paese fuori dalla crisi generata dalla pandemia”. Come? Con una società veicolo ad hoc gestita da Cassa Depositi e Prestiti con uno scopo: consolidare la base di capitale delle grandi imprese andate in sofferenza.

Patrimonio Rilancio Cdp: chi può usufruirne?
Lo farà grazie a un portafoglio di interventi, con limitati impatti sulla governance, che vanno dagli aumenti di capitale alla sottoscrizione di prestiti obbligazionari.
Me se non sono società operanti nei settori “strategici” vanno bene anche quelle con un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro. Oppure quelle che rientrano nel 30% delle imprese con il maggior numero di dipendenti nella provincia dove è situata la propria sede legale o la sede dello stabilimento produttivo.
Ultimi requisiti? Che non fossero aziende in sofferenza già al 31 dicembre 2019. Che non siano state in grado di reperire i soldi sui mercati o tramite le banche e infine che non siano società a partecipazione pubblica, con una quota dello Stato inferiore al 10% del capitale sociale.
Aiuti di Stato da Cdp? Giammai. Con Mario Draghi si chiama “bazooka”
Aiuti di Stato? Non questa volta. Nemmeno per l’Europa. Si chiama “bazooka” da quando a Palazzo Chigi siede Mario Draghi. Il “Patrimonio Rilancio” si compone inizialmente di tre comparti, denominati “Fondo Nazionale Supporto Temporaneo”, “Fondo Nazionale Strategico” e “Fondo Nazionale Ristrutturazioni Imprese”. Ma per ora si è ancora in fase preliminare. Con via Goito che ha lanciato due “call” per la “selezione intermediari” e “selezione esperti indipendenti”.
Cdp e patrimonio rilancio, nuova stagione neokeynesiana?
Chissà. Ma intanto si brinda al neokeynesismo di servizio nel mondo produttivo.