Home Politics Meloni l’Africana: dalla Libia all’Etiopia, la nuova frontiera dell’Italia

Meloni l’Africana: dalla Libia all’Etiopia, la nuova frontiera dell’Italia

Meloni l’Africana: dalla Libia all’Etiopia, la nuova frontiera dell’Italia

Perché leggere questo articolo: Investimenti, infrastrutture, energia sono il motore delle relazioni tra Italia e Africa. Un buco nero come la Libia preoccupa, ma per il governo Meloni è fondamentale pensare strategicamente all’Africa.

Giorgia Meloni ha visitato la Cop27 di Sharm-el-Sheik nella giornata del 7 novembre e ha avuto l’occasione di confrontarsi con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nella sua prima visita africana. Negli ultimi anni il continente più giovane e in crescita del pianeta è diventato centrale per la strategia italiana.

Il “piano Mattei” alla prova: la Libia primo obiettivo

Meloni nel suo discorso inaugurale ha citato la cooperazione italo-africana; ha parlato di un “piano Mattei” per la collaborazione; ha individuato nella crescita condivisa l’obiettivo numero uno. L’Africa è stata al centro del dialogo con Emmanuel Macron, presidente di una Francia con la quale l’Italia si divide tra cooperazione e competizione nella regione.

Il primo pensiero, ovviamente, va alla Libia. L’Italia deve rimediare a sei lunghi anni di regressione diplomatica nel Paese di fronte. L’ex Quarta Sponda torna nota solo quando si affaccia alla ribalta la questione migratoria, ma è scenario decisivo per il Paese.

In primo luogo per le importazioni di petrolio e gas: in teoria, la Libia può esportare in Italia fino 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno tramite il Greenstream, il gasdotto che collega la Sicilia ai giacimenti gasieri di Eni nel sud-ovest della Libia. Tuttavia, nel 2021 sono arrivati appena 3,23 miliardi di metri cubi di gas libico, in calo rispetto ai 4,46 miliardi di metri cubi dell’anno precedente. Sul fronte del petrolio, la Libia, l’anno scorso, aveva assicurato il 17% del petrolio importato in Italia, la seconda maggiore quota dopo quella dall’Azerbaijan (21%).

Il governo Meloni deve, su questo fronte, agire su più dimensioni. Sul fronte del gas naturale, la prospettiva di raddoppiare il Greeenstream può aprire alla prospettiva di forniture stabili e concrete sul medio-lungo periodo. Sul petrolio, Roma ha la necessità di difendere la capacità di Tripoli di mantenersi sopra il milione di barili prodotti al giorno. E in quest’ottica il piede a terra garantito dai legami energetici può controbilanciare la presenza locale di Russia e Turchia.

Meloni incontra al-Sisi: con l’Egitto bisogna parlare

I due Paesi in questione sono anche al centro nei rapporti con l’Egitto. Non a caso obiettivo di Meloni: la necessità di mettere da un lato un punto al dibattito sui casi Regeni e Zaki e di difendere dall’altro le relazioni commerciali si somma alla volontà di puntare sul Cairo per bilanciare, nell’Est della Libia, la presenza di Mosca.

Roma può inoltre assurgere da mediatrice alla contesa tra Egitto e Etiopia. Il leader di Addis Abeba Abiy Ahmed, ex Nobel per la Pace, forte della pausa conflitto nel Tigray si è recato a Sharm-el-Sheikh anche per risolvere l’annosa questione dello sfruttamento del Nilo con al-Sisi. A sua volta ha incontrato Meloni: primo faccia a faccia con un inquilino di Palazzo Chigi dalla visita di Giuseppe Conte nel 2019. 

I due triangoli italiani in Africa

A giugno Roma ha offerto 22 milioni di euro all’ex colonia un prestito agevolato per sostenere  la creazione di parchi agro-industriali in Etiopia. Ora vuole riprendere in mano la cooperazione centrata sulla costruzione della grande diga sul Nilo contestata dall’Egitto (la Gerd); quest’opera ha la costruzione in capo al gruppo WeBuild (ex Salini-Impregilo) con garanzia Sace.

Due triangoli dunque per Meloni, con l’Egitto al centro. Quello Italia-Libia-Egitto, dove Il Cairo può essere un partner per stabilizzare un Paese strategico e riportarlo alla normalità. E quello Italia-Egitto-Etiopia, dove la riappacificazione può aprire a un nuovo protagonismo di Roma nel Corno d’Africa, ove detiene la base “Amedeo Guillet” a Gibuti ed è impegnata contro la pirateria somala nella missione europea Atalanta.

Prossimo obiettivo per Meloni: il G20

Il “piano Mattei” può prendere forma su queste direttrici. E valorizzare una presenza fondamentale e duratura. Roma ha dalla sua la presenza di gruppi come Terna nella connettività trans-mediterranea per l’energia elettrica, la presenza di gruppi come Eni e WeBuild e il più grande investitore privato del continente: Enel, protagonista delle rinnovabili dal Sahel al Sudafrica. Va messa poi in conto la forza della cooperazione allo sviluppo e del soft power italiano in campi eterogenei: i missionari, i volontari e le Ong italiane, da Cuamm ai comboniani, sono una forza consolidata, per non parlare della Comunità di Sant’Egidio.

Una seconda tappa della strategia di “Giorgia l’Africana”, in tal senso, sarà al G20. Dove sono previsti incontri con il presidente del Ruanda, Paul Kagame, e con il presidente di turno dell’Unione Africana, il leader senegalese Macky Sall. Esponenti di un’Africa profonda che guarda all’Europa come punto di riferimento imprescindibile.

Il peso strategico dell’Africa

Il governo Meloni può e deve mettere a sistema la presenza strutturale dell’Italia in Africa per aprire mercati alle imprese, garantire sicurezza ai Paesi della regione e coinvolgerli nelle grandi sfide del presente. Investire e portare le imprese italiane in Africa significa realizzare il senso del piano di Mattei: far coesistere interesse nazionale e interesse dei Paesi di destinazione delle attività italiane, accrescendo il prestigio di Roma. E, in questo caso, sanando alla radice la questione dell’immigrazione tanto cara al centrodestra italiano.

Ogni euro che l’Europa e l’Italia investono in Africa, non è un aiuto all’Africa, ma un aiuto a loro stesse. E capirlo, ora più che mai, è fondamentale.