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Giochi, lotterie e truffe: quando la Dea bendata finisce ammanettata

Giochi, lotterie e truffe: quando la Dea bendata finisce ammanettata

Perché questo articolo potrebbe interessarti? Non sempre vincere alla lotteria o al gioco ha portato benissimo. Soprattutto a coloro che hanno cercato di dare una spinta alla dea bendata in modo da farla cadere molto vicino a loro. Vi raccontiamo tre episodi.

A Baggio, quartiere periferico di Milano, è caccia al vincitore del primo premio da 5 milioni della Lotteria Italia. Non sempre essere baciati dalla fortuna, però, ha portato benissimo ai possessori di tagliandi vincenti. Perché, per utilizzare un’espressione abusata ma sempre efficace, se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo. E se nella vita sei sempre stato più Paperino che Gastone, anche in questo caso il destino se ne ricorderà.

Una probabilità su 14 milioni di vincere alla lotteria nel corso della vita

La probabilità di vincere alla lotteria almeno una volta nella vita è stimata dai matematici in una su 14 milioni. Ma, al di là del computo, in passato ci sono stati casi in cui qualcuno ha cercato di “spingere” la fortuna in una determinata direzione. E’ capitato in molti giochi, a partire dal Lotto e un anno lo scandalo ha sfiorato anche il Festival di Sanremo quando il concorso canoro era stato abbinato al Totip, il gioco di scommesse ippiche che più tardi si sarebbe trasformato in Superenalotto.

Partiamo dal Lotto. Un tempo l’estrazione era settimanale e si svolgeva il sabato alle 12. I bussolotti con i numeri venivano estratti da un bambino bendato nella sede dell’Intendenza di finanza di ciascuna delle città collegate a una “ruota”. Soprintendevano alle operazioni alcuni funzionari e le Fiamme gialle. La gente si accalcava nei cortili per assistere all’estrazione e sperare che il parente defunto venutogli in sogno gli avesse dato la dritta buona almeno per un ambo.

Niente tecnologia, allora. Per cui ci fu qualcuno che si attrezzò per organizzare una mega truffa.

La truffa dell’usciere infedele al gioco del lotto

Accadde a Milano. Ad organizzarla fu un anonimo usciere di origini siciliane dell’Intendenza di finanza. L’uomo, come riporta il Corriere della Sera, “aveva il compito di apparecchiare il rito: allineava in una scatola le 90 palline di metallo in cui un funzionario avrebbe inserito uno ad uno i bigliettini con i numeri prima di metterle in un cesto rotante dal quale un bambino bendato ne avrebbe estratte 5, quelle valevoli per la «ruota» di Milano.

L’usciere aveva saputo da un ex collega che c’era la possibilità di truccare le uscite, ma non come. Dopo anni di studio e di prove aveva trovato la soluzione. Semplice e micidiale. Si era accorto che quando il funzionario metteva i numeri nelle palline seguiva sempre lo stesso ordine. Bastava fare in modo che almeno 5 fossero più lucide delle altre, quindi riconoscibili, per sapere con anticipo quale numero ci sarebbe finito dentro. Il resto lo avrebbe fatto il bambino che, figlio di un complice, avrebbe scelto le palline lucide grazie a un benda che gli avrebbe messo un altro complice in modo che potesse vedere lo stesso”.

Giochi proibiti sulla ruota di Milano

L’ideatore della truffa aveva pregato i suoi complici di non esagerare (“meglio vincere poco e spesso”), ma ebbe la meglio la cupidigia degli scommettitori, che cominciarono a spargere la voce tra parenti e amici. Si era alla vigilia del 2000, nel 1999 per l’esattezza, quando l’usciere dovette fare i conti non più solo con i parenti dei bambini, ma con criminali pugliesi che cominciarono a minacciarlo pesantemente per avere i numeri. Fu allora che si confidò con un ispettore di polizia e prese avvio l’indagine della magistratura. L’usciere era riuscito a mettere da parte un tesoretto di 7-8 miliardi di lire grazie ai familiari. I soldi delle vincite truccate furono sequestrati e venti anni più tardi, sempre il Corriere, rintraccerà l’ormai ex usciere rientrato nella natia Sicilia costretto a vivere con l’aiuto che gli davano i parenti.

Allo Stato la truffa del Lotto costò circa 60 miliardi di lire e fu allora che si decise di accelerare verso la digitalizzazione del gioco.

La compravendita di voti a Sanremo legata al gioco del Totip

Molte ombre si sono sempre addensate sui voti al festival di Sanremo (del business del televoto se ne è occupata anche la Finanza). Il primo che rivelò i retroscena e i costi delle compravendite fu Pupo che confessò di aver comprato il quarto posto quando si giocava con il Totip. Ci aveva già provato nell’80, senza riuscirci, ma ritentò qualche anno dopo. Era il 1984 e lui era in gara con “Un amore grande“. “Mi dissero prima del Festival che per i primi tre posti non c’era più niente da fare, ma se mi impegnavo si poteva per il quarto posto – raccontò il cantante a RepubblicaE allora mi sono buttato a comprare schedine del Totip, settantacinque milioni mi è costato, e sono arrivato quarto. Ma mi sono pentito, è una cosa che non rifarei più”.

Tredici al Totocalcio mai riconosciuto, 38 anni in tribunale

Martino Scialpi, piccolo commerciante di abbigliamento pugliese, dopo una disputa legale durata 38 anni, morì di crepacuore. Aveva totalizzato un 13 da 82 milioni di vecchie lire, con una schedina del Totocalcio, non riconosciuta dal Coni, perché la matrice della stessa non era mai arrivata nel deposito blindato del Totocalcio.

Tutto iniziò  il 1° novembre del 1981, quando Scialpi compilò e giocò,  in una ricevitoria del Comune di Ginosa (Taranto), una schedina pagando 500 delle vecchie lire.

Il suo racconto alle Iene: «Ascoltando i risultati delle partite di calcio alla radio della mia  macchina, insieme a un amico mi accorsi, tutto a un tratto, che avvenne un miracolo: avevo totalizzato un 13. Tornato a casa di corsa abbracciai, ansimante, mia moglie e i miei tre bambini dicendo loro che, da quel momento in poi, la nostra vita sarebbe cambiata in meglio. Prima di tutto avremmo comprato una casa tutta nostra, considerato che eravamo in  affitto e dopo avremmo magari fatto un bel viaggio, tutti insieme, in una località di villeggiatura. Insomma, per circa mezz’ora esultammo dalla gioia non stando nella pelle  – continuò il commerciante – ma l’indomani ascoltando il telegiornale i nostri entusiasmi furono smorzati dalla notizia secondo cui erano stati totalizzati quattro 13 in Italia, ma non in Puglia».

A quel punto, Scialpi andò a chiedere spiegazioni al direttore del Totocalcio di Bari, il quale gli consigliò di inoltrare immediatamente ricorso avverso il CONI di Roma, promettendo che gli avrebbe fatto sapere l’esito.

Dopo circa un mese arrivò  la risposta da Roma, con nota del 1 novembre 1981, con la quale si rigettava il ricorso. Motivo: secondo l’ art. 14 del regolamento ufficiale del Totocalcio la “Matrice non era stata rinvenuta nell’archivio corazzato” . Quindi il tagliando della matrice non totalizzava.