Home Sports Poveri e scarsi, ma il calcio italiano attira sempre più fondi e investitori

Poveri e scarsi, ma il calcio italiano attira sempre più fondi e investitori

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Sarà anche poco allettante e lontana anni luce dalla Premier League e dagli altri campionati di riferimento in Europa, ma la Serie A con le pezze sul sedere sta diventando un affare per molti e attira capitali dall’estero come mai in passato. E’ uno dei prodotti della crisi che travolge i nostri club insieme ad altri in giro per il Vecchio Continente, con la differenza che siamo rimasti così indietro nell’ultimo trentennio da rappresentare adesso una vera e propria occasione per chi ha denaro da investire. Lo shopping è iniziato qualche anno fa ma prosegue ancora e nei prossimi mesi potrebbe riportare in vetrina anche pezzi pregiati come l’Inter di Suning, in pegno al fondo Oaktree, e il Milan che Elliott detiene dal 2018 e che si avvicina a passi rapidi a quell’arco temporale di medio periodo (almeno 5 anni) dopo il quale è ragionevole ipotizzarne una dismissione da parte di un soggetto non abituato a gestire un club calcistico. E che comunque ne sta raddrizzando i conti riuscendo allo stesso tempo a garantire la crescita tecnica e di risultati.

L’ultimo acquirente in ordine di tempo nella Serie A è stato il fondo – made in USA – 777 Partners che ha chiuso l’epoca Preziosi durata quasi un ventennio. La trattativa è stata lunga e complessa, il vecchio proprietario è uscito del tutto dall’azionariato anche se per qualche tempo resterà al fianco del nuovo per introdurlo nei luoghi dove si prendono le decisioni che contano. L’investimento sul Genoa nasce dalla convinzione che la società ligure, dal passato illustre ormai lontanissimo, abbia margini di gestione che la rendano profittevole più di quanto non lo sia stata negli ultimi tempi quando Preziosi ha dovuto fare degli autentici miracoli sul mercato per trovare i fondi necessari alla continuità operativa. E’ un’idea che muove un po’ tutti gli investitori stranieri che stanno mettendo occhi e portafogli sulla Serie A anche se l’esperienza di chi lo ha già fatto o lo sta facendo dovrebbe consigliare prudenza.

La fuga di James Pallotta e del gruppo di bostoniani che si era innamorato dell’idea di dare alla Roma (e a se stessi) l’agognato nuovo stadio è già storia. Friedkin che ha preso il suo posto ha dovuto azzerare tutto il dossier, rischiando una causa multimilionaria, e fin qui ha solo pagato il conto: oltre 240 milioni di euro messi in poco più di un anno vissuto pericolosamente dal punto di vista finanziario. Dei problemi di Suning con l’Inter, che ha chiuso il bilancio 2020-2021 con un passivo monstre intorno ai 200 milioni di euro, si è scritto tutto e si è in attesa di aggiornamenti dalla Cina, dove il crac del colosso Evergrande riguarda da vicino anche la famiglia Zhang, sempre più esposta ai venti tempestosi della crisi.

Commisso a Firenze è impantanato da due anni sul tema stadio, sta procedendo con la costruzione del centro sportivo di Bagni a Ripoli che sarà un vero gioiello all’avanguardia, ma ha anche capito quanto sia costoso provare a competere nel calcio europeo. E’ segnalato sempre più infastidito da usi e costumi italiani. Ha attaccato Inter e Juventus per i loro conti, paventando una sorta di doping amministrativo che squilibra la competizione, mentre non riesce nemmeno a farsi dare una risposta dal talento Vlahovic che potrebbe andarsene a prezzi stracciati tra qualche mese se non firmerà il rinnovo di contratto che la Fiorentina gli offre sempre più al rialzo senza ottenere soddisfazione. Segno che dietro c’è l’idea di qualcuno di prenderlo a zero o quasi tra il 2022 e il 2023…

Al conto mancano i nuovi proprietari che si sono imbarcati in club provinciali potenzialmente dal grande fascino per la città in cui risiedono: Venezia (VFC Newco 2020 LLC con a capo Duncan Niederauer già numero uno della Borsa di New York), Parma (Kyle Krause), Pisa (Alexandr Knaster) e Spezia (Robert Platek). Qui, almeno, l’avventura italiana ha costi contenuti rispetto al grande giro della Serie A ma la scommessa è la stessa: mettere le mani su un prodotto che funziona poco, gestito male, è renderlo un’azienda moderna e che segue logiche finanziarie ed imprenditoriali vincenti. Se non in campo, almeno nel momento della redazione del bilancio di fine anno e poi della futura rivendita dell’asset rivalutato.