Home Sports Nuoto, la storia della transgender Lia Thomas e dell’inclusività senza regole nello sport

Nuoto, la storia della transgender Lia Thomas e dell’inclusività senza regole nello sport

Nuoto, la storia della transgender Lia Thomas e dell’inclusività senza regole nello sport

In Italia la cosa è passata sotto assoluto silenzio, travolti da calcio e Formula 1 che nel weekend hanno monopolizzato la scena sportiva nazionale. Ma in America la cosa ha fatto molto, molto discutere e forse dovremmo cominciare a fare delle riflessioni anche noi.

Lia Thomas è un maschio

La vicenda in realtà è una semplice gara di nuoto, del campionato universitario Usa, sui 100 metri vinta da Lia Thomas; vinta, stravinta dato che la seconda classificata si è presa un bel distacco, quasi due secondi. Ecco la notizia non è che questa Lia Thomas sarà la prossima Federica Pellegrini a Stelle e Strisce ma che Lia Thomas, in realtà, è William Thomas, un maschio. O meglio, era. Perché William era un maschio e da qualche tempo, dopo analisi, cure, operazione è stato riconosciuto dalle leggi americane come donna e può gareggiare con il costume intero contro ragazze. E vince, sempre, anzi, stravince. Ci sono delle cose da aggiungere. Da maschio, anni, fa, William era un nuotatore da college, sognava la nazionale, le Olimpiadi, ma il talento era quello che era. William non vinceva mai, era uno dei tanti. Nella classifica della NCAA era il 428 nuotatore  nazionale. Oggi Lia invece è un fenomeno, l’assoluta dominatrice di tutte le gare e c’è chi pensa, tra i rivali e nel mondo del nuoto americano,  che la scelta di cambio di sesso sia legata, in parte, anche a quello: da maschio non sono un fenomeno ma se gareggiassi con le donne sarei la numero 1. E così è stato.

Inclusione sì ma senza normative

Inutile dire che Lia non sia molto amata tra le colleghe in vasca; certo, un po’ perché vince ma soprattutto perché, dicono loro, è un maschio e di fatto è fuori dalle regole. La protesta si è resa molto evidente sul podio con Lia sul gradino più alto e, lontano le tre atlete femmine dalla nascita classificate seconda, terza e quarta che hanno posato per le foto di rito come fosse un vero podio. Inutile ribadire le differenze di forza fisica e di prestazioni tra maschi e femmine. Inutile ribadire che non è questo il primo caso della storia dello sport. Pensate, con tutte le differenze del caso, a quanto successo con la mezzofondista sudafricana Caster Semenya, il cui corpo dalle evidenti fattezze mascoline è stato al centro di analisi e polemiche a non finire sulla sua sessualità, sui suoi ormoni con ricorsi e controricorsi.
La realtà è che alla politica dell’inclusione a tutti i costi, alla politica del gender fluid lo sport, dove purtroppo le differenze tra maschi e femmine esistono, evidenti, non è seguita una riflessione con normativa ad hoc da parte del Cio o delle varie federazioni sportive mondiali.
Sono infatti in molti a chiedere che i transgender abbiano competizioni ad hoc, con spogliatoi ad hoc, classifiche ad hoc etc etc etc.
Sul tema in Italia tutto tace, come sempre, non fosse altro per il fatto che al momento non esistono casi rilevanti da gestire. Per una volta però non sarebbe male anticipare con soluzioni invece che tamponare all’ultimo momento, davanti all’emergenza ed alle ovvie polemiche (anche politiche) che si porterà con se.