Home Politics Geopolitics Sapelli: “Draghi parla di un mondo che non c’è più ma ignora la lezione ucraina”

Sapelli: “Draghi parla di un mondo che non c’è più ma ignora la lezione ucraina”

Mario Draghi partiti

Perché leggere questo articolo: Su molti temi Giulio Sapelli entra a gamba tesa su Mario Draghi. Vediamo perché l’economista e storico torinese non è convinto dell’editoriale dell’ex premier su “The Economist”

Mario Draghi è tornato a parlare con un editoriale pubblicato sull’Economist in cui ha auspicato la fine del Patto di Stabilità. E in cui emerge il distacco dell’ex premier e Presidente della Bce da un sistema “tripolare” fondato sulla posizione dell’Europa nella sfera geopolitica americana da un lato e di fronte al mercato russo-cinese, fonte di materie prime e merci a basso costo, dall’altro. “Le strategie che in passato garantivano la prosperità e la sicurezza dell’Europa – la dipendenza dall’America per la sicurezza, dalla Cina per le esportazioni e dalla Russia per l’energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili”, scrive Draghi. Auspicandosi, di fatto, un’Europa forte, federale, sovrana.

Per il professor Giulio Sapelli Draghi non è convincente. Lo storico ed economista torinese, parlando con True-News, è tranchant. Le parole di Draghi sono “too littleto late. Mi chiedo perché Draghi parli quando sa benissimo che l’evento che determinerà il futuro dell’Europa è ancora in corso”.

A cosa si riferisce, Professore?

“Alla guerra in Ucraina e alle sue conseguenze. L’Europa è nel mezzo di un conflitto inter-imperialistico in cui è ben più oggetto, che soggetto. Draghi prende atto che il mondo che conoscevamo non esiste più fuori tempo massimo e dopo averne incarnato, in passato, tutte le logiche”.

Il conflitto in Ucraina è la chiave di tutte le sfide?

“Sì, e ripeto: è un conflitto inter-imperialistico tra Stati Uniti e Russia. Con Mosca che alla battaglia egemonica ha aggiunto, ovviamente, la criminale scelta di invadere il Paese ex sovietico. Gli Stati Uniti hanno reagito all’invasione russa dell’Ucraina con una serie di sanzioni mirate, che sono servite a tagliare i legami tra la Russia e l’Europa, in particolare l’asse franco-tedesco. E questo ha creato una serie di problematiche all’Europa stessa”.

Cosa ha motivato questa scelta, a suo avviso?

“Questa scelta è stata motivata dalla diffidenza americana nei confronti dell’Europa, che ha radici profonde. Vent’anni fa, Francia e Germania si opposero alla guerra in Iraq voluta da Washington, contribuendo a creare un clima di tensione tra le due sponde dell’Atlantico. Un clima che abbiamo sentito più volte e che si manifestò anche quando gli Stati Uniti spinsero per Mario Draghi alla Bce dopo la fase del rigore germanocentrico. Inoltre, Francia e Germania erano inizialmente inclini a negoziare con Vladimir Putin, e Berlino era restia all’invio di armi all’Ucraina. Le sanzioni hanno azzoppato la volontà dell’Europa di giocare da attore autonomo”.

In quest’ottica, come si inseriscono le parole di Draghi?

“Appare evidente che Draghi parli, ora, perché negli ambienti a cui fa riferimento nel capitalismo anglosassone si sta alzando la soglia dell’allerta e della preoccupazione per la situazione economica europea. Chiaramente, gli Stati Uniti hanno due obiettivi principali in questa crisi: sostenere l’Ucraina e ridurre l’influenza russa in Europa.  Questi obiettivi sono strettamente collegati: se la Russia dovesse riuscire a conquistare l’Ucraina, sarebbe in una posizione molto più forte per esercitare pressione sull’Europa. La Germania stato è un obiettivo strategico per gli Stati Uniti perché è il motore economico dell’Europa. Ma le sanzioni hanno contribuito a creare un contraccolpo potenzialmente recessivo. E il sistema capitalistico anglosassone ha paura di un effetto contagio considerato il fatto che una crisi europea si potrebbe riverberare anche oltre Atlantico”.

C’è poi il problema della Cina, la cui economia ha quantomeno il raffreddore…

“Il decoupling dalla quale è comprensibile, ma mi permetta di accennare un dato di fatto. Per anni si è sentito parlare, soprattutto nel mondo del capitalismo anglosassone, che la Cina sarebbe stata il motore della crescita del futuro. Fidarsi di una dittatura terroristica tanto instabile al suo interno è stato certamente un grave errore allora, a cui oggi è difficile porre rimedio”.

Tornando all’Europa, quindi, è nel centro di una grande disfida geopolitica?

“La guerra in Ucraina sta avendo un impatto profondo sull’equilibrio di potere in Europa. Gli Stati Uniti stanno cercando di sfruttare questa crisi per rafforzare la loro influenza nel continente. Si tratta di una sfida tra imperi”.

A proposito di Draghi, l’ex premier ha anche criticato il Patto di Stabilità. Che ne pensa?

“Mi stupisce che Draghi trovi tempo proprio ora di parlare, dopo che da diverse parti nel mondo anglosassone è emerso ogni rischio possibile e immaginabile sull’eventualità che un ritorno del rigore contabile in Europa possa accelerare il rischio di recessione di cui parlavamo. Si tratta di un’ammissione, chiaramente, che cozza con un dato di fatto…”

Continui, professore…

“Draghi, nell’ultimo anno del suo governo non ha mai trovato il tempo di fare un’ammissione tanto onesta e esplicita e di lottare politicamente perché si avviasse un serio e preciso percorso di riforme dei trattati capace di mettere al sicuro dal rischio di austerità. La seconda fase del suo esecutivo, purtroppo, è stata disastrosa”.

Si riferisce alle problematiche legate al Superbonus, esploso per le modifiche del governo di unità nazionale?

“Anche, ma non solamente. Certamente il Superbonus è l’emblema delle politiche sconsiderate in cui in certe fasi l’esecutivo Draghi è stato in piena continuità col governo Conte II. Ma più in generale il problema di fondo di Draghi è stato farsi artefice di una visione economica orientata pesantemente ai sussidi. Tutto questo mentre alta inflazione, crisi energetica e battaglia sulle sanzioni travolgevano l’economia italiana e mettevano a rischio la stabilità europea”.

Del resto, recentemente, anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo ha ammesso: l’economia europea è la prima vittima della guerra in Ucraina…

“Un’ammissione sincera e onesta. Meglio accorgersene tardi che mai. Ma su Giorgetti, lo sa, preferisco stendere un velo pietoso”