Home Primo Piano Il senso dei premi Nobel per le petizioni (destinate a cadere nel vuoto)

Il senso dei premi Nobel per le petizioni (destinate a cadere nel vuoto)

Il senso dei premi Nobel per le petizioni (destinate a cadere nel vuoto)

Premi Nobel e petizioni: un’attrazione quasi fatale. E’ notizia di oggi che decine di scienziati, tra cui per l’appunto tre Nobel, in compagnia di politici e attivisti hanno inviato una lettera aperta alla Commissione Europea chiedendo di investire nell’innovazione sulle proteine vegetali come strumento per combattere l’emergenza climatica. Il documento propone che l’organismo europeo, fino al 2030, stanzi 25 miliardi di euro, pari al 5% del piano di investimenti del Green Deal, per rilanciare la produzione di questi alimenti vegetali e guidare la prossima “rivoluzione alimentare”. I tre premi Nobel in questione sono Sheldon Glashow e Roger Penrose, entrambi vincitori per la fisica, e Richard Roberts, che ha ricevuto il premio per la medicina. Tutti e tre sono piuttosto scafati in tema di lettere aperte e campagne, non essendo alla loro prima esperienza. Non deve stupire: è infatti una prassi piuttosto comune quella di cercare di coinvolgere e mettere in primo piano i nomi di premi Nobel a favore delle cause più disparate, che possono così beneficiare dell’autorevolezza e del prestigio associati a tali illustri sostenitori. Una dinamica che, negli anni recenti, ha visto particolarmente ricettivi soprattutto fisici e scienziati.

Le precedenti mobilitazioni dei premi Nobel

Penrose, ad esempio, era in compagnia di ben altri 54 premi Nobel, del Dalai Lama e di altre personalità quando il 13 dicembre 2021 fu lanciata una petizione su change.org all’indirizzo di Joseph Biden, Boris Johnson, Emmanuel Macron, Xi Jinping, Antonio Guterres e Vladimir Putin per chiedere di unirsi a loro nel rifiuto della guerra e delle armi nucleari.

Mentre Roberts era stato l’ideatore nel 2016 di un’altra campagna che ebbe una certa risonanza, in quanto riuscì a coinvolgere addirittura 108 altri premi Nobel. La petizione era rivolta a Greenpeace per chiedere all’associazione di ridefinire la propria posizione nei confronti degli organismi geneticamente modificati, aprendo ad essi, ed in particolare al golden rice, variante OGM di riso ricca di vitamina A, per aiutare i Paesi in via di sviluppo.

Anche Glashow ha una certa esperienza in materia di petizioni. Nell’ottobre del 2014 aderì alla campagna di Amnesty International per chiedere la liberazione del fisico iraniano Omid Kokabee. Con Glashow, altri trenta colleghi premiati a Stoccolma. Nel 2008 si era invece coalizzato assieme ad altri 19 premi Nobel statunitensi per la fisica per chiedere all’allora presidente George W. Bush di rivedere la “Omnibus appropriations bill” che stava causando grossi problemi economici alla ricerca scientifica made in Usa.

Nobel e petizioni: chi ha a cuore l’emergenza climatica è avvertito…

Ora. Non sappiamo con certezza come è andata a finire con il presidente Bush. Ma possiamo dire che nelle altre occasioni in cui il “popolo dei Nobel” si è mobilitato in massa, i risultati non sono stati irresistibili. Il povero Kokabee è stato sì scarcerato, ma solo nell’agosto del 2016. Greenpeace, ancora nel dicembre del 2020, diffondeva un comunicato intitolandolo: “Aprire agli OGM? No grazie!“. E rispetto al rifiuto della guerra, beh… sappiamo quanto seriamente Putin abbia preso l’invito. Chi ha a cuore le proteine vegetali e l’emergenza climatica – al centro della più recente mobilitazione – è insomma avvertito.