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Whatever it fails: ecco quanto rischia di costare all’Italia la caduta di Draghi

Whatever it fails: ecco quanto rischia di costare all’Italia la caduta di Draghi

Cinquecento venticinque giorni non sono bastati per risolvere ogni cosa. Caduto il governo, per il paese rimangono in sospeso alcuni punti cruciali dell’agenda di Mario Draghi. Questioni che rimangono irrisolte e che le dimissioni dell’esecutivo rischiano di complicare tremendamente. Manovre di natura economica e riforme strutturali potrebbero venire posticipate, se non proprio saltare, a causa della crisi. Le dimissioni dell’uomo del “Whatever it takes” rischiano di trasformarsi in un “whatever it fails” per l’Italia. Ecco quanto potrebbero costare al nostro paese le dimissioni di Mario Draghi.

Affari correnti e irrisolti

Nel marasma della crisi estiva, rimane una certezza. Il nuovo decreto Aiuti si farà, in ogni caso. Verranno stanziati circa 10 miliardi ad agosto dal governo dimissionario che rimarrà in carica per l’ordinaria amministrazione. Ecco quali sono gli affari correnti che il governo dimissionario potrebbe seguire. La questione energetica resta centrale, come dimostra il recente viaggio di Draghi in Algeria. Il piano di Draghi faceva perno su due rigassificatori, a Piombino e Ravenna, altro punto a forte rischio.

Una serie di misure per lenire la complessa situazione innescata dall’inflazione e dei rincari sul gas è salva. Sconti sulle bollette, crediti di imposta per le imprese verranno approvati da un Parlamento sciolto ma in grado di gestire gli affari correnti. Sono però a rischio i provvedimenti per un’ulteriore proroga al taglio di 30 centesimi sulle accise dei carburanti, allungato già dal 2 al 21 agosto. Gli interventi sulle bollette di gas e luce, che hanno bloccato gli oneri di sistema dureranno solo fino a settembre. Dovranno poi essere rinnovati per l’ultimo trimestre dell’anno, ma a questo punto sono a rischio.

La nuova tranche del Pnrr

Il nervo più scoperto per il paese è la realizzazione degli obiettivi per i 191 miliardi di fondi del Pnrr. Il momento è delicato: nel primo semestre sono stati centrati i 45 progetti per richiedere la seconda tranche da 24 miliardi. Ora ne mancano 55 per la fine dell’anno, ma in ballo ci sono progetti di riforma complessi.

Per ottenere 19 miliardi l’Italia deve realizzare 55 obiettivi entro dicembre. Ma un governo dimissionario in ordinaria amministrazione non è in grado di realizzare le riforme già impostate con leggi delega. Giustizia, appalti, concorrenza e fisco sembrano colonne d’ercole invalicabili. Per salvare le risorse l’Italia può ricorrere all’articolo 21 del regolamento del Piano. E’ prevista la possibilità di modificare il Piano con le scadenze per “circostanze oggettive”. Le elezioni anticipate possono rientrare in queste categorie di eccezioni.

Lo scoglio della legge di bilancio

La scorsa era stata da 32 miliardi; lievemente inferiore a quella da 40 miliardi del 2020 e da 37 nel 2019. La prossima manovra di bilancio rischia invece di essere fortemente ridimensionata. Un governo dimissionario non ha certo le carte in regola per un intervento massiccio. La Nota di aggiornamento del Def – il Nadef o Documento programmatico di bilancio, a settembre sarà “a legislazione vigente”. Dunque una semplice fotografia dei conti pubblici, senza la sezione “programmatica” con interventi.

Il Nadef dovrà essere approvato entro il 27 settembre; per essere poi presentato all’Ue entro il 15 ottobre queste. Il governo non può quindi guardare avanti, rinunciando a programmare la politica economica per il 2023. Sarà compito del governo successivo varare una legge di bilancio entro fine anno. Altrimenti, il “whatever it fails” è servito.

Addio pace fiscale

Sono a rischio anche altre scadenze fondamentali sul fisco. Tra le intenzioni del governo c’era la riduzione delle tasse in busta paga, rivedendo le aliquote Irpef a partire dai redditi bassi. Oltre alla riforma di Irap e Iva. Era previsto uno stanziamento di 7 e 1 miliardo per modificare.

E’ difficile capire che ne sarà di pace fiscale e della rottamazione delle cartelle. La caduta del governo travolge la delega fiscale e il rilancio della lotta all’evasione. Ci sono problemi anche sul fronte del Superbonus 110%. Il governo aveva pensato a una modifica del meccanismo della cessione dei crediti per i lavori già avviati, riducendo i contributi.

Pacchetto lavoro

Rimane sul tavolo la riforma delle pensioni. La riscrittura della legge Fornero, che scade il primo gennaio 2023, incombe. Le Quote, così come Ape sociale e Opzione donna, devono essere riconfermate dal Parlamento per non scomparire. Con la chiusura del Parlamento potrebbe decadere anche la delega fiscale per la riforma del sistema tributario; superato il nodo del catasto è ora in commissione al Senato.

Nomine e pensioni

Rimane sul tavolo la riforma delle pensioni. La riscrittura della legge Fornero, che scade il primo gennaio 2023, incombe. Le Quote, così come Ape sociale e Opzione donna, devono essere riconfermate dal Parlamento per non scomparire. Con la chiusura del Parlamento potrebbe decadere anche la delega fiscale per la riforma del sistema tributario; superato il nodo del catasto è ora in commissione al Senato.

Il nodo più complesso, e probabilmente quello che ha fatto saltare il governo di Mario Draghi, è quello delle nomine. Nel 2023 sono previsti cambi dei vertici in aziende partecipate di enorme importanza. Dopo le elezioni, il prossimo esecutivo si troverà a gestire le nomine dei consigli di amministrazione di Enel, Eni, Leonardo, Poste Italiane e Terna. Una partita cruciale, che i partiti hanno deciso di sottrarre a Draghi.

Whatever it fails

Dietro l’addio del premier non ci sono solo contraccolpi economici. I due pilastri dell’agenda di Mario Draghi erano la fuoriuscita dalla pandemia e la gestione del Pnrr. Sull’altare della ripartenza sono stati sacrificati i diritti civili. Erano calendarizzati per luglio dei temi diversi e divisivi, che ora rischiano di cadere: come Ius scholae e Cannabis. Stessa sorte per la legge sul suicidio assistito. Aveva incassato a marzo il primo ok della Camera e ora è in commissione al Senato. E’ quasi sicuro l’addio anche alla possibilità di legiferare sul doppio cognome, sollecitato dalla Corte costituzionale. Decadono anche le norme per rivedere l’ergastolo ostativo, previste nella riforma della Giustizia di Marta Cartabia.