Home Politics Meloni, Salvini, Renzi & Co: tutti i ribaltoni della Seconda Repubblica

Meloni, Salvini, Renzi & Co: tutti i ribaltoni della Seconda Repubblica

Meloni, Salvini, Renzi & Co: tutti i ribaltoni della Seconda Repubblica

Perché leggere questo articolo? Vedere i protagonisti dei ribaltoni di ieri censurare quelli potenziali di domani invita a porre una fondamentale questione di coerenza alla politica nostrana.

La norma “anti-ribaltoni” mancava nella discussione italiana legata alle riforme istituzionali. La proposta di Giorgia Meloni e del Ministro per le Riforme Istituzionali Elisabetta Casellati per la riforma costituzionale contiene anche questa disposizione come complemento dell’elezione diretta del capo del governo. Con questa prescrizione, si vuole dare alla coalizione di maggioranza la garanzia di poter essere blindata in caso di caduta del governo sua espressione. In caso di caduta di un governo, si darebbe con questa disposizione ai parlamentari il potere di cambiare il capo dell’esecutivo ma non la conformazione della maggioranza.

L’esempio britannico

Una norma simile a quella sperimentata a più riprese negli ultimi anni nel Regno Unito, ove l’indicazione dei nuovi premier è dal 2016 a oggi emersa sempre per mezzo di dinamiche politiche interne al Partito Conservatore. David Cameron è caduto per la Brexit dopo il referendum, Theresa May nel 2019 per non essere riuscita a portarla a compimento, Boris Johnson per l’ondata di scandali a Downing Street nel luglio 2022 e Liz Truss per lo shock finanziario del settembre successivo. Il partito ha vinto tutte le elezioni dal 2010 a oggi ma non ha mai sostituito alle urne il suo capo.

Questo tema però pone sicuramente in capo diverse questioni politiche fondamentali.  Innanzitutto, il sistema britannico è sostanzialmente bipolare. Dunque imperniato sui due poteri di Partito Conservatore e Partito Laburista. In secondo luogo, l’emanazione diretta del governo dal voto popolare è accettato assieme al ruolo costituzionale di un’opposizione centrata generalmente, come l’esecutivo, su un solo partito. In terzo luogo, al governo è in capo il potere di convocare, se necessario, lo scioglimento della Camera dei Comuni. Mentre la riforma Meloni-Casellati lascerebbe tale facoltà al Quirinale.

Il gioco politico italiano è quello di un sistema istituzionale in cui i poteri e i contropoteri sono costruiti pensando a una base non maggioritaria ma bensì proporzionale. Dal 1948 a oggi, infatti, nessun partito ha avuto alle urne la maggioranza assoluta in solitaria. Anche la forzatura del maggioritario con premio assegnato alle coalizioni è sostanzialmente un unico tra le grandi democrazie. In un contesto che ragiona a mentalità negoziale, in ossequio al dettame proporzionale, l’aggiunta della distorsione maggioritaria del blocco dei governi alla loro maggioranza pone dei dilemmi. Innanzitutto, è chiaro che un governo in questo modo può cadere solo per rottura della maggioranza. Alla cui ricostituzione è affidato il compito di trovare un sostituto interno. Un fatto che contraddice decenni che hanno fatto dei “ribaltoni” l’ordinarietà nella politica italiana.

I ribaltoni del centrodestra

Siamo abituati a chiamarli inciuci, ma è la democrazia centrata sul Parlamento. E tutti i partiti di governo ne hanno fatto ampiamente uso in passato. La Lega di Matteo Salvini ha fatto filotto: ribaltoni con e contro tutti. Nel 1995 si saldò alla sinistra facendo cadere Silvio Berlusconi e nascere il governo Dini. Nel 2018 ha mollato il centrodestra per un anno e mezzo per governare col Movimento Cinque Stelle nel governo Conte I e nel 2021 ha assieme a Forza Italia rotto l’opposizione comune a Fratelli d’Italia alleandosi a Pd e M5S nel governo Draghi. I forzisti, in precedenza, avevano sostenuto il governo tecnico di Mario Monti e quello dem di Enrico Letta. Quando Forza Italia era diventata Popolo delle Libertà, nel 2011 il Ministro della Gioventù uscente Giorgia Meloniprima di fondare Fdi, votò convintamente la fiducia al governo Monti.

Tutti i partiti hanno dunque sostenuto “ribaltoni” e l’ascesa al governo di figure non politiche o extra-parlamentari. Un’altra violazione di fatto alla norma anti-ribaltoni che prevede, tra le altre cose, l’elezione del premier tra i membri entrati alla Camera o al Senato. Non erano parlamentari, al momento della nomina, né Dini né Draghi, così come Monti e Conte.

Renzi, re dei ribaltoni, sostiene la riforma

Ma non era parlamentare nemmeno Matteo Renzi quando scalò il governo italiano nel 2014 da segretario del Partito Democratico, peraltro rompendo col partner di coalizione del Pd al voto del 2013, Sinistra Ecologia e Libertà, e scegliendo come alleato il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Renzi oggigiorno sostiene con Italia Viva la manovra ma al contempo si vanta da anni di aver messo la firma su due grandi “ribaltoni”: nell’estate 2019, l’avvicendamento tra Lega e Pd dal primo al secondo governo Conte e, nel 2021, il siluramento di “Giuseppi” a favore di Draghi. La democrazia italiana, folle e imprevedibile, ha prodotto anche questi giri di valzer. E in alcuni casi trame alla Game of Thrones. Ma vedere i protagonisti dei ribaltoni di ieri censurare quelli potenziali di domani invita a porre una fondamentale questione di coerenza alla politica nostrana.