Home Politics Iran, Regeni o Erdogan: ambasciator non porta a nulla di concreto

Iran, Regeni o Erdogan: ambasciator non porta a nulla di concreto

Iran, Regeni o Erdogan: ambasciator non porta a nulla di concreto

Perché potrebbe interessarti? Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha voluto incontrare il massimo rappresentante diplomatico della Repubblica iraniana. Un gesto simbolico, che come insegnano i vari casi del passato non produce grossi effetti. Basti pensare all’Egitto, ma anche alla Turchia. Una rassegna di ambasciatori convocati…inutilmente.

L’ultima volta che un governo aveva convocato un ambasciatore, alla Farnesina c’era Luigi Di Maio, nel ruolo di ministro degli Esteri, seppure agli sgoccioli del suo mandato. A dover spiegare le posizioni del suo Paese era l’ambasciatore russo, Sergej Razov, in merito alla guerra in Ucraina. E non solo.

Cosa significa l’azione di convocare un ambasciatore?

L’esecutivo italiano, a inizio ottobre, voleva ragguagli su determinate prese di posizioni di Mosca, sostenute proprio dall’ambasciatore, che si era preso la briga di criticare un articolo di Domenico Quirico, pubblicato su La Stampa. Meno nota, invece, la convocazione dell’ambasciatore degli Emirati arabi uniti, risalente allo scorso giugno, a causa della mancata concessione dello spazio aereo a un velivolo dell’Aeronautica italiana, con a bordo dei giornalisti, che doveva atterrare in Afghanistan.

Dal punto di vista pratico si tratta di un segnale di crisi diplomatica, ma non segna la rottura definitiva delle relazioni con un altro Paese. Si tratta insomma di una sorta di indicatore sul deterioramento delle relazioni, in attesa di ottenere risposte su uno o più dossier. Ed è quello che sta avvenendo con la Repubblica Islamica iraniana: il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha deciso di sentire personalmente Mohammad Reza Sabouri, ambasciatore designato da Teheran (ancora non è stato ufficialmente nominato). Nel caso specifico si tratta di un atto di biasimo dell’esecutivo verso il regime teocratico che sta reprimendo le manifestazioni di dissenso nel Paese, provocando decine di vittime e arresti arbitrari. Tajani ha fatto sapere di aver chiesto a chiare lettere un comportamento diverso da parte delle autorità dell’Iran, più disponibile al dialogo.

Ambasciator non porta nulla

La storia è piena di ambasciatori convocati, senza che – per usare un eufemismo – alla fine cambiasse la storia del mondo. Più di recente è stata la Francia a richiamare il suo ambasciatore a Roma, dopo le tensioni con il governo Meloni sul capitolo-immigrazione. Un momento particolare, dato che tra Paesi dell’Unione europea capita raramente un livello di tale tensione. Andando a ritroso nel tempo, si ritrovano molteplici casi, come quello accaduto nel 2019. Alla Farnesina c’era già Di Maio, che chiese chiarimenti al rappresentante diplomatico della Turchia sulle operazioni militari condotte dall’esercito di Ankara contro i curdi.

Sembra un’era fa: il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva ordinato l’attacco alle postazioni di combattenti curdi, collocate a nord della Siria, dopo la cacciata dei jihadisti dell’Isis. La reazione italiana si mosse su un piano diplomatico, senza avere grosso seguito. Restando sempre in Siria, ma facendo un ulteriore passo indietro nell’arco temporale, c’è la convocazione dell’ambasciatore nel 2011, da parte del compianto Franco Frattini, dopo la repressione dell’esercito di Damasco nei confronti dei manifestanti che animavano le proteste della Primavera araba.

Il caso Regeni fa scuola

Un’altra vicenda storica è legata al ruolo dell’ambasciatore è quello con l’Egitto sul caso Regeni, il ricercatore ucciso e su cui non è mai stata fatta luce. In quel caso l’allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, richiamò l’ambasciatore italiano al Cairo per confrontarsi sulla vicenda e comprendere la situazione direttamente sul campo. Si trattò di un gesto più clamoroso in confronto alla “semplice” convocazione di un rappresentante diplomatico. Tuttavia, come hanno dimostrato i fatti successivi: la mossa non ha rappresentato la fine delle relazioni con il governo egiziano. Anzi: l’Italia ha continuato ad avere scambi commerciali, fornendo addirittura delle fregate al Cairo. A conferma che dall’azione simbolica alla rottura reale diplomatica, ce ne passa. Eccome.