C’è qualcosa di malsano in certe scelte politiche cittadine e regionali. Per come intendo io la politica e l’amministrazione, il rapporto con i privati che hanno il potere di cambiare la città (in meglio e in peggio), andrebbe strutturato così: “I politici fanno le norme, che sono come un recinto. Tutto quello che è incluso in quel recinto si può fare, tutto quello che è fuori da quel recinto non si può fare”.

Un quadro semplice di norme, poche eccezioni e soprattutto pochissima discrezionalità per chi non è politico, ma burocrate. Questo nel mondo perfetto. Ma qui, in Italia, e a Milano in particolar modo, la perfezione è un po’ lontana. Così capita che Manfredi Catella abbia comprato a caro prezzo un palazzo del Comune, il Pirellino. Bene, ottima operazione. Poi ci vuol fare un progetto che è indubbiamente bellissimo: è quello di Stefano Boeri.
Burocrazia vs Pirellino
Invece no, a Milano, Italia, succede che si sviluppa un ampio dibattito perché il costruttore, di fatto, dice: se mi date il 20 per cento in più io vi faccio un ponte fighissimo e green, se non me lo date, io non ve lo faccio. Attorno a quello che alcuni chiamano trattativa, e altri in modo peggiore, si sviluppa un dibattito politico acceso.
Un controllo semplice, in fondo, roba da burocrati. Una volta tanto che servono, non ci sono mai, fagocitati in un sistema che fa le regole e poi non si capisce se vanno applicate oppure no.