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Per Gino Cecchettin il politicamente corretto non vale?

Gino Cecchettin

Gino Cecchettin non è un santo. È una persona colpita da una tragedia indicibile, la morte violenta della figlia Giulia. Per altro, a un anno dalla scomparsa della moglie, venuta a mancare dopo lunga malattia. Ogni giorno Gino Cecchettin deve fare i conti con questi due lutti gravissimi e ravvicinati, con il destino amaro, ingiusto e ingestibile che gli è toccato in sorte.

Qualunque modo trovi per farlo non è affar nostro, né di chiunque altro all’infuori della sua coscienza. Troviamo comunque surreale che, nell’epoca del politicamente corretto, ci sia così poco rispetto per quest’uomo. Le migliori come anche le peggiori menti di più di una generazione oggi si professano oltremodo rispettose di qualsivoglia alterità: cambiano i pronomi, le desinenze delle parole, rimuovono termini dalla nostra lingua per evitare il rischio di poter offendere. Illudendosi che ogni minoranza possa sentirsi così “riverita” e “inclusa”, alle volte oltre le soglie del ridicolo. Eppure, ne sussiste una a cui è possibile dire le cose peggiori passando impuniti: quella di un padre che ha appena perso la figlia morta ammazzata. 

Gino Cecchettin va da Fazio: l’odio social continua

“Gino Cecchettin ha sbagliato ad andare ospite a Che Tempo Che Fa, mi puzza di propaganda politica”. Questo il fine sragionamento di moltissimi su Twitter (pardon, X!) che si mostrano orgogliosamente novelli Sherlock Holmes del lutto. In un’epoca in cui non si può parlare di omosessualità, a meno che non si sia gay, di femminismo, a meno che non si sia donne, o di mantecatura del risotto, a meno che non si sia food blogger con centinaia di K, è invece accettabile sparare a zero su pensieri, parole, opere e opinioni di un vedovo, di un padre che ha perso la figlia per mano di un assassino. Invece di ringraziare che non sia toccato a loro, le menti più illuminate e analitiche che circolano sui social fanno di tutto per affossarne l’immagine, come se fosse possibile “recensire” il suo dolore. Perché loro farebbero diversamente, sottintendendo meglio. Analizzano la reazione di un uomo che ha perso (quasi) tutto, con somma ferocia. Commentano suoi (presunti) tweet di prima della tragedia, lo dipingono come un mezzo mostro. In realtà, Cecchettin sta solo tentando di fare l’unica cosa che chiunque farebbe al suo posto: cercare un senso a quanto gli è capitato.

Gino Cecchettin sta solo cercando di dare un senso alla sua tragedia

Quando succede qualcosa di negativo, ognuno di noi, per andare avanti, cerca di trovarle un significato. Così da poter credere che, se non altro, non sia avvenuta invano, per caso. Ciò vale quando veniamo lasciati, nel momento in cui perdiamo una persona, un lavoro, qualcosa a cui teniamo e che da un momento all’altro, non fa più parte delle nostre vite. Questo “qualcosa” per Gino Cecchettin è la sua stessa figlia, Giulia. Che non ha smesso di parargli in una fase di ribellione, ma è morta ammazzata dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Il padre oggi va da Fazio e spera di poter esser d’aiuto ad altri padri, ad altre famiglie che hanno subito lo stesso lutto. Oppure, ancor meglio, di poter contribuire, grazie alla sua sventurata esperienza, a evitare che orrori del genere si ripetano.

Per come la vede lui, Giulia è stata uccisa dal seme del patriarcato che infesta la nostra società fin dal modo in cui siamo abituati a parlare delle donne, espressioni apparentemente innocenti comprese. Ha ragione? Stando a un bell’articolo di Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano, forse solo in parte. In ogni caso, non è questo il punto. Gino Cecchettin potrebbe pure dire in tv che sia colpa della tabellina del 2. E, al massimo, sarebbe responsabilità sciacalla di chi lo invita in tv, non certo sua. Non ci sentiamo di recensire le parole di quest’uomo come fossero un brutto disco o un bel programma tv. Di fronte a un dolore talmente abissale, non c’è torto o ragione. Si può e si deve solo fare un passo indietro ed essere grati di non viverlo sulla nostra pellaccia. Ciò che fa veramente orrore è vedere quanto moltissimi riescano a dirsi tutti fenomeni. Perfino coi figli ammazzati degli altri.