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Ogni 25 aprile ha la sua polemica

Ogni 25 aprile ha la sua polemica

La costante, se si guarda alle manifestazioni per il 25 aprile, sembra essere una: la contestazione alla Brigata Ebraica da parte di esponenti di formazioni dell’estrema sinistra filopalestinese. Sistematicamente l’assalto, per fortuna sempre solo verbale – in passato rimasto tale grazie solo al cordone di sicurezza predisposto dalle forze dell’ordine – scatta in quella che è la manifestazione più imponente, quella di Milano, alla quale ieri hanno partecipato circa settantamila persone. A Roma da anni le manifestazioni sono due e le bandiere con la stella di David non marciano con quelle dell’Anpi.

La guerra in Ucraina come detonatore della polemica

Quest’anno le polemiche sul 25 aprile si sono accese in vista del 77esimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e a fare da detonatore è stata la guerra tra Russia e Ucraina. Tanto che lo stesso presidente nazionale dell’Associazione nazionale partigiani, Gianfranco Pagliarulo, ex parlamentare di Rifondazione comunista, cossuttiano doc, proprio dal corteo di Milano e poi dal palco di piazza Duomo, ha dovuto chiarire che anche per lui esiste un paese invasore, la Russia, e un paese invaso, l’Ucraina, che ha il diritto di difendersi.

Il distinguo, tra chi ieri era al corteo per il 25 aprile, era tra chi sostiene la liceità di armare il popolo ucraino, impegnato nella resistenza all’invasore che la mattina del 24 febbraio, al risveglio, si è trovato in casa (per dirla con le parole di “Bella ciao”) e chi contesta la scelta di fornire armi. Il segretario del Pd Enrico Letta, che era alla manifestazione di Milano, è stato contestato da manifestanti che issavano cartelli che lo ritraevano con l’elmetto e lo tacciavano di essere un guerrafondaio. Così come sono state contestate le poche decine di persone che avevano deciso di marciare “indossando” la bandiera Nato.

I fischi al padre partigiano di Letizia Moratti

Il 25 aprile è da sempre una ricorrenza che si porta dietro uno strascico polemico. Non serve neppure andare troppo indietro nel tempo. Basta riavvolgere il nastro della memoria e portarsi a quello del 2006. Siamo sempre a Milano. Un ex partigiano, ex internato nel campo di concentramento di Dachau, sfila sulla carrozzina a rotelle sulla quale è costretto. Ha militato in una formazione partigiana di ispirazione liberale.

Il suo nome è Paolo Brichetto Arnaboldi. Aveva combattuto nella Brigata Franchi, comandata da Edgardo Sogno. Al suo passaggio viene fischiato. La contestazione è indirizzata a sua figlia, che spinge la carrozzina. E’ Letizia Moratti, allora candidato sindaco Pdl  di Milano, oggi vicepresidente della Regione Lombardia e assessore al Welfare.

I contestatori non vanno per il sottile: “Fuori dal corteo i fascisti”, “Puttana vuoi rovinare Milano come hai rovinato la scuola” si levano alcune grida tra i fischi. Quando chiederanno ai politici presenti un commento sull’accaduto, il comunista Marco Rizzo col suo solito ghigno dirà: “I fischi non hanno mai fatto male a nessuno”. Non sa che a distanza proprio Paolo Brichetto Arniboldi, 86 anni, che il fascismo l’ha subito e combattuto per davvero, gli darà una lezione di stile, dichiarando: “Cosa penso delle urla e dei fischi? Che sono stati gentili! Nella mia vita ho passato momenti ben più difficili“.

Berlusconi “partigiano” della Brigata Maiella

La Moratti sarà ancora vittima di contestazioni il 25 aprile del 2010, da sindaco di Milano, e questa volta lo è in compagnia del segretario del Pd Pierluigi Bersani: una selva di fischi parte dalla piazza quando i due si stringono la mano sul palco. L’allora vice della Moratti, Riccardo De Corato polemizza: per lui i sessantamila scesi in piazza per il 25 aprile non sono lì per celebrare la vittoria sul nazifascismo. Parla di una “imboscata” tesa a Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, che qualcuno pensava potesse presentarsi alla manifestazione.

Dopotutto, il leader di Forza Italia e capo del governo solo l’anno prima, nel 2009, aveva “vestito” i panni del partigiano, avvolgendosi nel fazzoletto della Brigata Maiella a Onna, paesino abruzzese distrutto dal terremoto, che era stato teatro di una strage di civili fatta dalla Wermacht in ritirata nel 1945. Ma era stato soltanto uno dei suoi show.

Berlusconi era sotto accusa per non aver mai festeggiato la Liberazione, quel “travestimento” avrebbe dovuto mondarlo da questo peccato. Il rimedio tentato fu peggiore del danno da riparare, dato che le sue parole per l’occasione servirono solo a riacutizzare le polemiche: “I tempi sono maturi“, il suo pensiero in sintesi, “perché la festa della liberazione diventi festa di libertà“. La Resistenza è un valore “fondante della Costituzione” ma bisogna avere rispetto per tutti i combattenti, fossero essi partigiani o repubblichini, perché questo non vuol dire essere neutrali”. A volte un bel tacer

Alemanno e  Polverini fuori dal corteo

Nel 2012 a Roma il sindaco Gianni Alemanno, ex missino, e la presidente della Regione Lazio Renata Polverini (Pdl) disertarono la manifestazione di Porta San Paolo. Ad annunciare la defezione fu il presidente dell’Anpi Roma, Vito Francesco Polcaro: “Ci hanno appena comunicato che la presidente Polverini non parteciperà alla manifestazione per motivi istituzionali”. Più tardi fu svelato l’arcano.

Fu la stessa Polverini a parlare: “Ringrazio l’Anpi per l’invito e per avermi in qualche modo fatto capire che forse non era opportuna una mia presenza perché il corteo rischiava di diventare violento. Dispiace che pochi compromettano la bella immagine che il nostro Paese su questi temi ancora non riesce a dare”. Tra i cartelli esposti, nella parte centrale del corteo organizzato dall’Anpi, dove sfilavano i centri sociali, spuntarono anche cartelli con la scritta “senza Gianni e Renata è più bella la giornata“.

L’anno dopo, il 2013, sono i Cinque Stelle, equidistanti ante litteram (“né di destra né di sinistra”), a innescare una polemica sul 25 aprile, a dirla tutta alquanto “morettiana” (“mi si nota di più se non vengo o se vengo e me sto in disparte?“). Parla all’Ansa Marcello De Vito, candidato sindaco di Roma del Movimento alla vigilia della Festa della Liberazione. E dice: “I partiti si fanno un vanto del 25 aprile, disputandoselo, e non non vogliamo entrarci. Il movimento 5 Stelle di Roma non parteciperà alle celebrazioni per il 25 Aprile per sottrarsi alle solite commedie di chi vuole strumentalizzare la ricorrenza”.

A metterci una pezza fu Vito Crimi, capogruppo al Senato del Movimento, che scelse tra il non andare, l’andare e starsene in disparte: “I senatori del Movimento 5 stelle prenderanno parte alle celebrazioni del 25 aprile nelle loro città da semplici cittadini. Senza presenze in prima fila sui palchi o in posti privilegiati. Perché il 25 aprile fu e deve essere festa di popolo”.

Lega e Fratelli d’Italia, la polemica e l’insofferenza

Chi proprio non riesce a dissimulare l’insofferenza per il 25 aprile sono Fratelli d’Italia e Lega. Nel 2020 il partito della Meloni propose di trasformare la festa di Liberazione nella giornata per ricordare i caduti di tutte le guerre e del Covid 19 con la Canzone del Piave al posto di Bella ciao. La risposta arrivò a stretto giro di tweet da Nicola Fratoianni, oggi Sinistra italiana, allora Leu: “Come ogni anno, puntualmente come un’allergia stagionale, arriva l’insofferenza di Fratelli d’Italia per il 25 aprile. Non riescono proprio a comprendere che è il giorno di liberazione dell’Italia dal virus del nazifascismo, non riescono proprio  a distinguere vittime e carnefici, chi stava dalla parte giusta della libertà e chi stava con Mussolini e Hitler. Si rassegnino  il 25 aprile Bella Ciao risuonerà ancora più forte”.

Solo l’anno prima, Matteo Salvini, aveva detto: “È giusto ricordare i drammi storici di settanta anni fa, però, la guerra di Liberazione oggi io, da ministro dell’Interno, non la faccio ricordando il fascismo e il comunismo. La faccio combattendo la mafia nel cuore della Sicilia che ha diritto di essere liberata dalla mafia. Fortunatamente siamo in democrazia fascismo comunismo e nazismo non torneranno più”, aveva spiegato il capo della Lega, da sempre critico nei confronti di una ricorrenza, che, a suo giudizio, negli anni “si è tinta un po’ troppo di rosso” e invece dovrebbe tornare a essere la “festa di tutti” e non un “derby tra fascisti e comunisti”.