Home Politics La scuola è il secondo luogo meno sicuro per le persone LGBTQ+ – Il report

La scuola è il secondo luogo meno sicuro per le persone LGBTQ+ – Il report

LGBT SCUOLA

Negli Stati Uniti ha fatto scalpore la morte di Nex Benedict, 16enne non binary mort* dopo un’aggressione a scuola da parte dei compagni. Un’ennesima violenza transfobica che rivela il pesante contesto discriminatorio che pervade anche i luoghi formativi. Qual è la situazione italiana? Lo spiega il report Youth di ILGA e lo racconta un*insegnante non binary.

Com’è essere una giovane persona LGBT negli istituti scolastici?

Risponde ILGA Europe, un’associazione storica per la tutela e il supporto della comunità queer. Per farlo ha analizzato i dati raccolti nel LGBTI Survey II dalla European Fundamental Rights Agency (FRA) nel 2019 e si è concentrata sulla categoria “giovani”. Ha così stilato il report Youth, che copre l’intera Unione Europea ed è quindi specchio anche dell’Italia, che si trova al 34° posto in Europa per diritti LGBTQ+.

Per capire gli aspetti interessanti che emergono in relazione al contesto scolastico, bisogna considerare alcune informazioni preliminari:

  • il questionario alla base del report è stato somministrato a un campione 139 799 persone queer;
  • per giovani si intende chi rientra nella fascia d’età 15-24, cioè 68 442 individui;
  • in alcuni casi questo range è stato ulteriormente suddiviso in 15-17 e 18-24 per capire se ci sono differenze generazionali.

Episodi di discriminazione

Il report indaga le discriminazioni subite negli ultimi 12 mesi. Più di un quarto delle/dei giovani (29,36%) ha dichiarato di essere stato discriminato dal personale scolastico o universitario. Circa metà di queste risposte (45,65%) riguardano le persone tra i 15 e i 17 anni. In questo range, le categorie marginalizzate più colpite nel contesto educativo sono gli uomini trans (67,22%), le donne trans (52,12%) e le persone non binarie (56,86%).

Esperienze di violenza e aggressione

Il report indaga anche le aggressioni fisiche o sessuali. Innanzitutto circa un terzo delle persone giovani coinvolte dalla ricerca (32,35%) ha subito episodi di violenza. La percentuale totale delle persone queer aggredite, quelle adulte comprese, è più bassa: 24,55%. Questo significa che le persone queer giovani sono più soggette a episodi di violenza e i dati mostrano che ciò vale ancora di più se appartengono anche a una minoranza etnica.

Se distinguiamo le aggressioni in fisiche e sessuali, notiamo anche qui una differenza generazionale. La violenza di tipo sessuale vissuta dalle persone queer giovani comprende il 33,03% dei casi dichiarati. La percentuale scende a 28,42% se includiamo anche quelle adulte. Ancora una volta le/i giovani LGBTQ+ sono più esposti alle aggressioni sessuali. La percentuale sale invece per le persone queer che fanno anche parte di una minoranza etnica (36,88%), quelle intersex (37,47%), quelle disabili (45,43%) e le giovani donne trans (42,88%).

Chi mette in atto queste aggressioni? Le risposte cambiano a seconda dell’età delle vittime. Per chi è nel range 15-17, gli attacchi provengono da:

  • compagni di scuola (38,02%);
  • altri coetanei (35,76%);
  • membri della famiglia (13,32%).

Per chi è nel range 18-24, le aggressioni provengono da:

  • persone sconosciute (47,86%);
  • altri coetanei (22,99%);
  • compagni di scuola o di università (16,17%).

Emerge chiaramente il problema delle aggressioni di stampo omolesbobitransfobico nel contesto scolastico e tra coetanei.

Dove avvengono le aggressioni? Nella maggior parte dei casi in luoghi pubblici (40,20% per il range 15-17 e 47,00% per il range 18-24). Il secondo luogo meno sicuro, però, è la scuola. Qui si sono verificati il 30,03% delle aggressioni di chi è 15-17 e il 10,26% di chi è 18-24. Non dimentichiamo che il 10% degli attacchi è avvenuto in casa. Unicamente il 9,41% del campione ha denunciato l’aggressione.

Esperienze scolastiche

Solo il 9% (15-17) e l’8% (18-24) del campione ha dichiarato di essere stato “very open” sulla propria queerness quando andava a scuola. D’altro canto il 30% e il 43%, rispettivamente, non hanno rivelato la loro appartenenza alla comunità LGBTQ+.

Dalle risposte alla domanda “La tua scuola si è mai occupata di temi LGBTQ+?” si nota che la maggior parte delle/dei giovani queer non ha ricevuto informazioni di questo tipo a scuola. Inoltre i dati mostrano che il 15% (15-17) e il 12% (18-24) del campione hanno pensato di lasciare o cambiare scuola perché LGBTQ+. Le percentuali maggiori riguardano le persone trans e intersex.

Il 67% (15-17) e il 66% (18-24) del campione hanno assistito, a scuola, a microaggressioni verso persone LGBTQ+ o percepite come tali. Due terzi hanno riportato di aver visto o sentito commenti o condotte discriminanti con alta frequenza (“spesso” o “sempre”).

Infine, per quanto riguarda il bullismo, il 43% del campione ha dichiarato di averne fatto esperienza a scuola. Solo il 23% (15-17) e il 14% (18-24) hanno ricevuto supporto e protezione durante il percorso scolastico. Nonostante il dato mostri che c’è una sensibilità maggiore del corpo docente, ciò non è sufficiente per garantire il benessere delle persone queer. Mancano delle strategie capillari ed efficaci per rendere le scuole un luogo sicuro.

“C’è un gap tra il regolamento cartaceo e ciò che accade davvero nelle scuole”

Un*insegnante non binary spiega inoltre che “le scuole che hanno la carriera alias per gli studenti sono ancora poche. La carriera alias è un accordo interno e privato tra la scuola, l’università o l’accademia e lo studente o la studentessa affinché si possa usare un’identità alias che corrisponde all’identità di genere della persona, non ai documenti anagrafici. Per il personale scolastico è ancora più rara. La situazione quindi è difficile.

Inoltre anche l’introduzione della carriera alias non tutela al 100% gli studenti, restano grosse lacune. Spesso il nome anagrafico viene visto dalle altre persone, anche solo per i tempi tecnici che la burocrazia richiede nel passaggio da un istituto all’altro o da un ordine di scuola all’altro. Anche le tempistiche per l’attivazione di questo strumento nelle scuole che lo devono introdurre sono molto lente. Può passare addirittura un intero anno scolastico.

Bisogna poi considerare il rispetto di questo regolamento. Una volta che il nome sul registro viene modificato, i documenti sono uniformi. Eppure ci sono insegnanti che usano il nome anagrafico e i pronomi che non corrispondono all’identità di genere degli studenti coinvolti. Sia per disattenzione sia per ostilità.

Nel regolamento della carriera alias si indica solitamente che l’alunno può scegliere i bagni e gli spogliatoi in cui si sente più a suo agio, ma non sempre riesce a farlo. Capita che i compagni, il personale ATA o gli insegnanti non siano accoglienti e ciò non tutela da micro e macroaggressioni. C’è un gap tra il regolamento cartaceo e ciò che accade davvero nelle scuole.

Per quanto riguarda il personale scolastico, nel nuovo CCNL Contratto Scuola all’art. 21 si parla di carriera alias. Il problema è che non ci sono indicazioni operative pratiche, di conseguenza ogni istituto deve mettersi all’opera per stendere il proprio regolamento e solo le scuole davvero interessate lo fanno. Bisogna poi stabilire in quali documenti si può indicare il nome d’elezione e in quali va obbligatoriamente usato quello anagrafico. Al momento la situazione non è chiara.

Infine gli stessi fenomeni di micro o macroaggressioni che subiscono gli studenti vengono affrontati anche dagli insegnanti: gli ostacoli per accedere al bagno, i commenti omolesbobitransfobici, gli scontri con i genitori che vedono un nome sul registro elettronico e al colloquio si vedono un docente presentarsi con un nome diverso, etc.”.

Leggi il report Youth