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Il triste spettacolo di un voto per le Europee dove non si parla di Europa

Il futuro dell'Europa e il peso dei partiti italiani Il triste spettacolo di un voto per le Europee dove non si parla di Europa

Le elezioni europee del 9 giugno, in Italia, lo saranno solo per modo di dire. Ormai il senso del voto è profondamente cambiato. “Parliamo di un voto che ormai ha tutta la connotazione di un test per il prossimo voto nazionale”, dice a True-News Alessandro Faggiano, caporedattore di Termometro Politico.

Il cambio di paradigma delle Europee

Faggiano ricorda che “in vista delle Europee si è realizzato un totale cambio di paradigma. Di Europa non si parla più. Partiti e soprattutto leader”, ragiona il sondaggista e analista politico, “si stanno preparando a testare le proprie forze alimentando quel triste spettacolo basato su candidature personali che mai si trasformeranno, nella maggior parte dei casi, in seggi effettivi all’Europarlamento”.

Per Faggiano è un “dato politico rilevante” questo cambiamento che “contraddice quanto successo nel 2019, quando si pensava che le elezioni europee avrebbero avuto la possibilità di cambiare l’Unione. Oggigiorno, nonostante le sfide politiche del Vecchio Continente restino notevoli e impellenti, questa percezione è venuta meno”. E ciò, unitamente a un calo della fiducia italiana per le istituzioni comunitarie, non cessa di produrre risultati.

Europee, la chiave di lettura ricorda le Politiche

Cosa succede? Faggiano nota che “la chiave interpretativa è totalmente simmetrica a quella del voto per le politiche. Ad esempio il centrodestra corre diviso, con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia in tre famiglie distinte, ma l’unica chiave di lettura offerta è quella dell’asse governo contro opposizione”. Faggiano aggiunge che “alle Europee la candidatura dei leader alimenta questa svolta. Avevo pronosticato che, partito uno, sarebbero partiti tutti”, nota il caporedattore di Termometro Politico. “Ma mai mi sarei immaginato che saremmo arrivati a scenari metapolitici come la scelta di Giorgia Meloni di chiedere di farsi votare col nome di battesimo”.

Per Faggiano “la responsabilità di questa avvilente transizione di senso delle Europee è di tutta la classe politica. Ma con la loro candidatura Meloni e Antonio Tajani, che ricoprono un ruolo di responsabilità istituzionale, hanno addossato un particolare peso alle scelte del governo in tal senso”. La scelta tutta populista di appellarsi direttamente al popolo con le preferenze unisce gli schieramenti: Meloni, Tajani, Elly Schlein, Carlo Calenda e Matteo Renzi. Mancano tra i big solo Matteo Salvini e Giuseppe Conte, a capo dei due partiti ritenuti “populisti” per antonomasia, Lega e Movimento Cinque Stelle.

Salvini e Conte non si candidano alle Europee

“Salvini”, nota Faggiano, “è in all-in con la candidatura del generale Vannacci e con la scelta di portare la Lega nuovamente a destra della destra” per risucchiare alcuni voti dispersi verso Fdi. “La scelta di non mettere il nome sulla scheda è legata all’incertezza sul fatto che tale presenza possa spostare effettivamente consensi, vista la natura appannata del segretario leghista e della sua immagine pubblica”. Mentre per Conte e M5S “emerge una problematica di nomi di grido che con queste mutate regole del gioco può risultare penalizzante”.

Perché le Europee più che un’elezione saranno una gara di popolarità. Mentre là fuori altri decideranno di Europa e di sfide decisive, dal green alle regole di bilancio, dalle scelte geopolitiche al futuro delle istituzioni, in Italia sarà tempo di pretattica. E non potremo lamentarci se presto avremo di fronte un’altra occasione sprecata.