Home Politics Giornalisti, non influencer. Lo dice la legge ma serve l’aiuto della politica

Giornalisti, non influencer. Lo dice la legge ma serve l’aiuto della politica

Giornalisti, non influencer. Lo dice la legge ma serve l'aiuto della politica

Perché leggere questo articolo? Per Guido Camera, Presidente di ItaliaStatoDiDiritto e autore di un manuale di deontologia per l’Albo dei giornalisti, è necessario l’intervento del Parlamento per regolamentare il mondo della comunicazione. Il ruolo del giornalisti è differente da quello dell’influencer. E nessuno meglio di un avvocato può spiegarlo.

Il caso della ristoratrice di Lodi ha riaperto il dibattito sull’uso e sul senso di fondo dell’informazione. Influencer vs giornalisti. Ma anche squali che pappano pesci troppo piccoli per resistere nel vasto mare dei social network. Informazione e quello che non lo è. Provare a trovare luce nell’abisso della cronaca odierna è difficile. Un minimo di bagliore può forse darlo la giustizia, tramite le sue due nature. Fin troppo spesso intesa come punitiva, la legge ha anche uno scopo normativo che può servire a ribadire l’essenza delle professione dei giornalisti. Una forma di compensazione per una professione, in questi giorni soprattutto, nell’occhio del ciclone e negli anni vessata da querele.

Camera: “La differenza tra giornalisti e influencer è nella deontologia”

Perché fare il giornalista è un mestiere rischioso, lo sa bene Guido Camera. Avvocato cassazionista, presidente dell’associazione ItaliaStatoDiDiritto e negli anni difensore di numerosi giornalisti, Camera è anche autore di “Lezioni di diritto dell’informazione e deontologia della professione giornalistica“, il manuale propedeutico all’esame per entrare nell’Albo dei giornalisti pubblicisti. Per Camera, “l’esercizio del giornalismo comporta diritti e doveri, libertà e responsabilità, codificati in quel settore dell’ordinamento giuridico denominato diritto dell’informazione”.

Secondo Camera, “il giornalista è più identificabile di tante altre figure del mondo della comunicazione, perchè dispone di un codice deontologico che lo rende maggiormente qualificato a raccontare le cose che succedono nel mondo. Dietro il lavoro del giornalista c’è una missione: la verità. Questo lo rende differente. Il valore aggiunto del giornalista è l’imparzialità. L’influencer invece non racconta i fatti, fa opinione”.

Breve storia del fu reato di diffamazione a mezzo stampa

Per Camera, che ha una lunga esperienza di controversie legali inerenti il mondo dell’informazione a tutto tondo, “la differenza tra giornalisti e influencer sta nella deontologia“. Una questione da sempre dibattuta, anche dagli addetti ai lavoro. Indro Montanelli scrisse sulle colonne de Il Giornale nel 1989: La deontologia professionale sta racchiusa in gran parte, se non per intero, in questa semplice e difficile parola: onestà“. 

L’onestà morale e intellettuale è fondamentale, ma da sola non salvaguarda la libertà di espressione poiché rischia di sottoporre il giornalista che cerca le verità più scomode o esprime opinioni a una serie di traversie. Problematiche che da tempo la giurisprudenza prova a risolvere. “La prassi delle cause ormai è che ai giornalisti vengano erogate multe. Nella mia esperienza sono anni che non viene erogata la fantomatica sanzione detentiva. L’ultimo caso che ricordo è del 2013 e fu già la Corte di appello di Milano ad assolvere – a tempo record – un giornalista, che in primo Grado a Varese era stato condannato a una sanzione detentiva pesante e a un risarcimento record (oltre 100mila euro)”. L’avvocato ha fatto in tempo a vedere il reato di diffamazione a mezzo stampa, un reato ad hoc per i giornalisti, della cui riforma Camera è stato tra i promotori. Fino a che nel 2021 una sentenza della Consulta ha avviato una prima limitazione – ai “discorsi d’odio” e “fake news” – della pena del carcere e ha di fatto invitato il legislatore a porre mano alla normativa.

Giornalisti e influencer hanno bisogno della politica, non di Agcom

Fino alla sentenza n. 150/2021, i giornalisti risultavano essere una categoria a sé per il codice penale. Una dirimente riconosciuta incostituzionale, ma che rende l’idea della maggiore rilevanza di quanto viene pubblicato nero su bianco dai giornalisti. Per la sostanziale abolizione del reato – rimane previsto il carcere solo per hate speech e fake news – è servito l’intervento della Corte Costituzionale. Un convitato di pietra, troppo spesso colpevolmente assente dal dibattito. La partecipazione attiva del legislatore è necessaria, non basta il semplice – e già vecchio – decalogo Agcom. “Serve l’intervento complessivo del Parlamento con norme primarie, rivendicando il proprio ruolo. Non devono essere le authority, ma ci vuole una valutazione complessiva del mondo della comunicazione. Da un lato ci sono i giornalisti, dall’altro tutti quelli che fanno della comunicazione“. I progetti di legge sono al vaglio del Parlamento. E anche Guido Camera prevede di ripubblicare una versione aggiornata del manuale. In dieci anni, il mondo dell’informazione è cambiato e servono nuove fondamenta.