“Slitta di un anno lo stop alle auto diesel che avrebbe dovuto scattare nel nord Italia da ottobre. È stato infatti approvato l’emendamento della Lega al dl Infrastrutture che prevede maggiore flessibilità per le auto diesel Euro 5 e rinvia dal primo ottobre 2025 al primo ottobre 2026 il termine che prevede per Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna la limitazione strutturale”, recita il testo di Il Fatto Quotidiano rilanciando la portata dell’emendamento.
La posta in gioco resta alta e il contenzioso istituzionale non si chiude qui. Le regioni più industrializzate, sottoposte a livelli critici di polveri sottili, dovranno ora dimostrare all’Unione di poter comunque contenere lo smog con percorsi alternativi—pena nuove procedure di infrazione, questa volta non più solo potenziali. Il rinvio viene letto dai fautori della transizione verde come un compromesso politico “di corto respiro”, che potrebbe allungare i tempi ma non arrestare la traiettoria delle limitazioni. Sull’altro fronte, chi esulta invoca l’urgenza di soluzioni praticabili: “Non possiamo lasciare a piedi milioni di automobilisti”, ha tuonato più volte Salvini nelle sedi istituzionali, presentando il rinvio come tutela sociale oltre che economica.
Così le regioni possono anticipare le restrizioni nei propri territori
L’emergenza ambientale, dati alla mano, non arretra: la limitazione era stata pensata proprio per rientrare nei livelli di emissione imposti dalla UE. Ma ora la flessibilità introdotta permette alle Regioni di rimandare, sostituire, modulare gli interventi, pur a rischio di sanzioni e contestazioni future. Resta la possibilità che le Regioni decidano comunque, in autonomia, di anticipare le restrizioni nei propri territori; una facoltà che rischia di creare disomogeneità ma che punta ad avvicinare le decisioni finali alle condizioni specifiche di ogni area urbana.
“Il rinvio viene letto dai fautori della transizione verde come un compromesso politico “di corto respiro”, che potrebbe allungare i tempi ma non arrestare la traiettoria delle limitazioni. Sull’altro fronte, chi esulta invoca l’urgenza di soluzioni praticabili: “Non possiamo lasciare a piedi milioni di automobilisti”, ha tuonato più volte Salvini nelle sedi istituzionali, presentando il rinvio come tutela sociale oltre che economica. Il dialogo tra governo centrale, Regioni e Unione europea rimane aperto, tra cavilli procedurali, responsabilità distribuite e un clima di confronto sempre più acceso. I prossimi mesi diranno se questa concessione di tempo e margine di discrezione alle Regioni produrrà davvero “soluzioni alternative e compensative” efficaci o se, come temuto dagli attivisti, si limiterà a rimandare un problema strutturale che grava sulla sostenibilità delle nostre città. Sullo sfondo, resta il dato di fatto: il convulso stop-and-go della lotta allo smog si conferma terreno di scontro politico permanente—tra “buonsenso” evocato a gran voce e il rischio di nuove, tumultuose, repliche istituzionali.
La proroga viene accolta come uno scudo per lavoratori, piccoli imprenditori e cittadini che rischiavano di trovarsi improvvisamente “fuori legge” dalla sera alla mattina, ma al tempo stesso alimenta le critiche di ambientalisti e amministrazioni più sensibili all’emergenza smog, che già nei mesi scorsi avevano denunciato il rischio di un grave arretramento rispetto agli impegni presi in sede europea. Mentre nei corridoi di Bruxelles si valuta la necessità di «misure compensative credibili», a livello locale le Regioni vengono investite di una responsabilità supplementare: essere arbitri tra le esigenze sanitarie, l’economia reale e le (tutt’altro che deboli) pressioni dei gruppi sociali coinvolti.
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