Home Politics Da Draghi a Meloni, c’è un partito che non passa: quello “americano”

Da Draghi a Meloni, c’è un partito che non passa: quello “americano”

Da Draghi a Meloni, c'è un partito che non passa: quello "americano"

Il Centro Studi Americani, nella giornata del 30 novembre, è stato teatro di un’importante kermesse a Roma. A organizzarla la società di consulenza Ey. A fare da “gran cerimoniere”, Umberto Saccone, validissimo esponente delle istituzioni passato poi all’impresa. Il tema: la sicurezza e il risk management delle imprese.

Nella cornice di Via Caetani, in uno dei palazzi più antichi della Capitale, l’occasione ha segnato il compattamento del “partito americano” che dall’era Draghi all’era Meloni continua a voler giocare un ruolo di peso. Certo che il governo Meloni non sarà meno “atlantico” di quello Draghi.

I capisaldi del “partito americano”

A garantire i legami con gli Usa, come ricordato su Tag43, un quadrilatero di figure. Per la Lega, c’è Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze. In seno a Forza Italia, Antonio Tajani, Ministro degli Esteri. Per Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari; “regista” e veterano, Giulio Tremonti. Da Palazzo Chigi, il sottosegretario e autorità delegata ai servizi Alfredo Mantovano aggiunge profondità strategica.

Tecnologia, finanza, sicurezza nazionale; tanta impresa, poca e selezionata politica, molti ambienti securitari: l’evento di Ey ha segnato un importante momento di raduno di un partito di figure di peso vicine a Washington e desiderose di coniugare sicurezza del Paese e orientamento atlantico. Sfida importante mentre tra Russia e Cina i rivali internazionali dell’America fanno pressione anche sull’Europa e nel Vecchio Continente Washington contende l’influenza su Roma con la Francia di Emmanuel Macron.

Ex spie e ex Eni, il “partito americano” si blinda

Il Centro Studi Americani, in quest’ottica, è punto di contatto tra mondi diversi, spesso anche apparentemente distanti. Centrale d’influenza e camera di compensazione in cui in nome del legame euroatlantico si fa sistema. L’evento di Ey ne è una conferma. Tra gli organizzatori dei lavori, il citato Saccone: oggi è leader della divisione per la sicurezza dei dipendenti e degli asset fisici della multinazionale di consulenza britannica, dopo aver passato diversi decenni nei servizi segreti italiani e aver guidato la Security di Eni ai tempi di Paolo Scaroni.

Presente al Centro Studi Americani un altro grande ex dell’era Scaroni, Stefano Lucchini, oggi  capo della comunicazione istituzionale di Intesa San Paolo e tra gli organizzatori della premiazione americana di Draghi all’Atlantic Council dell’estate scorsa.

Un altro filo rosso importante è quello degli ex membri dei servizi, oltre a Saccone, legati al partito americano: il presidente del Csa è, lo ricordiamo, il prefetto Gianni De Gennaro, ex direttore del Dis e “padre” politico dell’ex autorità delegata Franco Gabrielli.

Sul palco di Ey è salito anche il finanziere Luciano Carta, ex direttore dei servizi esteri (Aise) e oggi presidente di Leonardo. Tra i membri del CdA di Leonardo, molto vicina alle istanze Usa è anche Paola Giannettakis, Direttore del Master in Scientific Intelligence della Link Campus University, che non è mancata all’iniziativa di Via Caetani (in ascolto anche il rettore ed ex Ministro Dc Vincenzo Scotti).

La diplomazia del “partito americano”

Il focus dell’evento di Ey è stato sulle minaccie sistemiche alle aziende di fronte a un mondo globalizzato in continua allerta. E tra le sfide analizzate c’è stata quella della penetrazione cyber e mediatica di Russia e Cina, identificate come potenze rivali. A farlo un convitato di peso: Pasquale Terracciano, già ambasciatore a Madrid, Mosca e Londra, dal gennaio scorso a capo della Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale della Farnesina.

Questa presa di posizione si inserisce nel solco di un orientamento filo-atlantico di molti grandi diplomatici italiani che ha esempi chiari in figure come Gianni Castellaneta, già ambasciatore a Washington e oggi commentatore e scrittore, Sergio Vento, consigliere diplomatico dei presidenti del consiglio Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi e Lamberto Dini negli Anni Novanta.

Sul fronte politico, all’evento di Ey erano presenti Alberto Pagani, esperto del Pd in campo di difesa e sicurezza, e l’ex sottosegretario pentastellato Angelo Tofalo. Due attenti osservatori del panorama politico nazionale e soprattutto delle necessità e dei vincoli del posizionamento globale dell’Italia nel mondo inquieto. Presente anche Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali e consigliere del Ministro della Difesa Guido Crosetto.

I media: chi sono gli “americani” d’Italia

A moderare l’evento Maria Latella, giornalista di Sky Tg24 e socia del Centro Studi Americani, unica rappresentante della stampa nel board. Latella non è la più esposta tra i giornalisti sensibili alle istanze Usa in Italia. Notoriamente filoamericani sono editorialisti come Gianni Riotta di Repubblica, Jacopo Iacoboni de La Stampa Federico Rampini de Il Corriere della Sera.

Tra le riviste, è ovviamente pro-Usa Aspenia, edita dall’Aspen Institute, la cui direttrice Marta Dassù è vicepresidente del Centro Studi Americani. Tra i think tank, spicca per atlantismo l’Ispi dell’ambasciatore Giampiero Massolo. A cui fa concorrenza l’Istituto Affari Internazionali diretto da Nathalie Tocci, consigliere di amministrazione di Eni.

Tutta questa galassia politica, culturale e mediatica guarda al legame tra Italia e mondo americano come a una priorità da conservare. E sostiene convintamente l’idea della transizione morbida tra l’era convintamente “americana” di Draghi e la nuova fase di Giorgia Meloni. Segnata per ora dal tentativo di accreditamento a Washington e dalla volontà di costruire una destra non ambigua verso la superpotenza a stelle e strisce. Il focus securitario di manager, esponenti della sicurezza nazionale e uomini delle istituzioni convenuti al Centro Studi Americani il 30 novembre scorso dà l’idea dell’importanza della sfida. Il partito americano fa coincidere vicinanza Italia-Usa, senza alcun senso di inferiorità ma anche senza ambiguità, e interesse nazionale. E conta che Meloni, in scia a Draghi, prosegua sulla strada tracciata evitando di cedere alle sirene che potenze rivali come Russia e Cina possono lanciare per frenare il loro contenimento ad opera di Washington.