Home Politics Miguel Gotor: “Il dibattito pubblico sulla mafia è ormai quasi del tutto assente”

Miguel Gotor: “Il dibattito pubblico sulla mafia è ormai quasi del tutto assente”

Miguel Gotor: “Il dibattito pubblico sulla mafia è ormai quasi del tutto assente”

Perchè questo articolo potrebbe interessarti? True-news.it ha intervistato Miguel Gotor. Lo storico, modernista di formazione ma esperto degli anni Settanta del Novecento, ha curato il podcast “Cadaveri eccellenti”. Prodotto da Frame-Festival della Comunicazione e ascoltabile su Audible. Dieci puntate raccontano cinque omicidi degli Anni di Piombo che hanno fatto storia. Un percorso originale fatto di testimonianze, dichiarazioni inedite, lettere e documenti d’epoca. Con alcuni ospiti d’eccezione.

Cinque omicidi per dieci puntate. Cadaveri eccellenti” è la seria podcast di Miguel Gotor che prova a ricostruire gli Anni di Piombo. Lo fa raccontando attentati che hanno fatto la storia. Prima e dopo l’uccisione di Aldo Moro, cinque uccisioni hanno segnato una svolta nella società e nelle politica del Paese; influenzando la memoria collettiva. Delitti irrisolti, rivendicati o con matrici differenti; ma le vittime sono tutte “cadaveri eccellenti”, come in un celebre film di Francesco Rosi. Il professor Miguel Gotor analizza l’intreccio perverso dietro queste cinque morti. Tra politica, sovversione e poteri occulti.

Professor Gotor, partiamo dal titolo. Perché i “cadaveri eccellenti” segnano gli anni tra il 1976 e il 1982?

L’epicentro degli anni Settanta è l’operazione Moro nella primavera del 1978. Mi interessava analizzare alcuni casi, prima e dopo quella tragica vicenda, per studiarne le cause e le conseguenze dal momento che agirono e ne trassero vantaggio le medesime forze sovversive. Aldo Moro ha costituito un punto di equilibrio nel sistema di potere italiano – non solo quello politico – almeno dal 1964 in poi e ha progressivamente assunto anche un rilievo internazionale all’interno dei rapporti della guerra fredda sul fronte mediterraneo. La sua eliminazione chirurgica da parte delle Brigate rosse aprì un campo di tensioni e di ricatti all’interno di quel sistema di potere che trovarono una loro soluzione anche mediante la pratica dell’omicidio politico come avvenne nei casi del giornalista Mino Pecorelli, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, del politico Piersanti Mattarella e del militare Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Sangue, società e ideologia: che nesso c’è tra gli anni di piombo e la sua formazione da studioso di Storia Moderna?

Nell’ambito della storia moderna ho studiato in particolare la vita religiosa con un’attenzione rivolta al culto dei santi e alla censura ecclesiastica da parte dell’Inquisizione romana. Studiare la santità significa approfondire l’esperienza del martirio, mentre analizzare la censura porta a esaminare le pratiche di controllo e di resistenza da parte di un potere assoluto e dunque interrogarsi sullo spazio di libertà che ciascun uomo può essere in grado di conservare e di utilizzare per difendere la propria dignità e aggirare l’interdizione subita.

Se devo trovare un filo che lega il mio impegno di studioso dell’età moderna ai miei lavori dedicati agli anni Settanta del Novecento direi che esso va trovato nell’attenzione che metto nello studio di personalità carismatiche che subiscono una morte violenta in ragione del loro impegno in vita come uomini politici, giornalisti, militari, giuristi, professori e anche nell’attenzione ai testi scritti che producono – è questo il caso di Moro – in situazioni di cattività in cui l’elemento del controllo censorio è stato evidente così come il loro tentativo di resistere all’interdizione.

Occorsio, Ambrosoli, Mattarella, Tobagi e Dalla Chiesa. Ma il “cadavere eccellente” della nostra storia nazionale rimane quello di Aldo Moro?

Il titolo del podcast costituisce una citazione del bellissimo film di Francesco Rosi nel 1976 tratto dal romanzo “Il contesto” di Leonardo Sciascia nel 1971. L’elemento in comune di questi omicidi politici è la compresenza e l’incrocio tra mondi delinquenziali sommersi e mondi ufficiali altolocati (politica, burocrazia, imprenditoria), con un ruolo servente svolto dalla criminalità organizzata e l’intervento di poteri invisibili come la massoneria, tutti accomunati da una comune matrice sovversiva, dall’alto e dal basso del sistema di potere. In questo senso sono d’accordo con lei che l’omicidio di Moro è il prototipo di questo tipo di Cadaveri eccellenti anche se non bisogna mai dimenticare che egli, prima di essere ucciso, fu rapito e questo rende ancora più complicata la sua vicenda perché evidentemente la dimensione del sequestro è stata funzionale a innescare un grande ricatto e una conseguente destabilizzazione politica e istituzionale.

La violenza è ancora uno strumento di rivendicazione politica?

Nelle forme che ha assunto in Italia nella decade dei Settanta per fortuna no. Allora abbiamo avuto la convergenza e la sovrapposizione di tre fenomeni distinti: lo stragismo di matrice neofascista, la lotta armata che ha avuto prevalentemente un orientamento di tipo marxista-leninista all’interno del cosiddetto “Partito armato” (una galassia composta da centinaia di sigle diverse e concorrenziali tra loro ove l’egemonia è stata conquistata dalle Brigate rosse) e infine una violenza politica diffusa nelle piazze, nelle scuole e nelle università delle principali città italiane.

Nino Di Matteo ci ha recentemente dichiarato che “c’è stata un’assoluta carenza mediatica e politica sulla sentenza d’appello sulla trattativa Stato-Mafia”. Pensa che la mafia – ampiamente presente nel suo podcast – sia uscita dall’interesse del dibattito pubblico?

Sono d’accordo con il giudizio di un magistrato di vaglia come Di Matteo. Il dibattito pubblico sulla mafia è ormai quasi del tutto assente o completamente cerimonializzato e ritualizzato. Il che non aiuta lo sviluppo di una sua funzione civica come ad esempio è avvenuto negli anni Novanta. Su questo servirebbe un cambio di rotta. Spero che questi cinque podcast, nel loro piccolo, possano contribuire a questo obiettivo.

Un commento sulla decisione del governo francese che ha negato l’estradizione ai terroristi protetti dalla dottrina Mitterrand?

Si tratta di un nuovo errore compiuto da uno Stato amico; che fatica a comprendere cosa è avvenuto in Italia negli anni Settanta e quale ferita quella lunga scia di sangue ha lasciato nella nostra società. Spiace inoltre dover presupporre che, a parti invertite, i giudizi e i comportamenti del governo francese sarebbero stati del tutto diversi.