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Gli ambientalisti perdono il referendum a Berlino ma in Germania possono

Gli ambientalisti perdono il referendum a Berlino ma in Germania possono

Perché questo articolo potrebbe interessarti? A Berlino gli ambientalisti hanno perso la sfida del Referendum per anticipare la neutralità climatica dal 2045 al 2030. Abbiamo chiesto a uno studioso italiano, esperto di Germania, le conseguenze politiche del voto referendario; in una paese dove, rispetto all’Italia, i Verdi sono una realtà politica da molto tempo.

Ha vinto il Sì, ma con solo il 50,9% dei voti. In ogni caso gli ambientalisti tedeschi hanno perso il referendum, che non ha raggiunto il quorum. Nulla di fatto per la consultazione popolare che avrebbe voluto rendere Berlino la prima capitale europea a impatto zero entro il 2030. Ai promotori e volontari di Berlin 2030 Klimaneutral non è bastato un milione di euro speso in pubblicità per anticipare la neutralità climatica. Edoardo Toniolatti, cofondatore del blog collettivo Kater sulla Germania, analizza con True-News.it le conseguenze del voto di Berlino, nella patria dei Verdi.

Dottor Toniolatti, può spiegarci in breve il referendum?

Il referendum del 26 marzo chiedeva di modificare la legge per la protezione del clima e la transizione energetica del Land di Berlino in modo sostanziale. Innanzitutto, la proposta era di ridurre drasticamente la tempistica per rendere la città climaticamente neutrale: dal 2045 al 2030. Soprattutto però si trattava di rendere questo traguardo non più un’indicazione di massima; ma un vero e proprio impegno vincolante, con obiettivi concreti. Una riduzione delle emissioni di CO2 del 70% entro il 2025 e del 95% entro il 2030 (rispetto alle rilevazioni del 1990).

Che conseguenze avrà la sconfitta degli ambientalisti?

L’aspetto più rilevante non è tanto che non sia stato raggiunto il quorum – per quello sarebbe dovuto andare a votare almeno il 25% degli aventi diritto, che significa circa 607.500 persone; invece, alle urne sono andati in poco più di 440.000. Ma si sa che coi referendum non è mai semplice raggiungere la soglia. Il dato più significativo, probabilmente, è che solo una risicata maggioranza di quelli che sono andati a votare si sono espressi a favore del quesito referendario. I Sì sono stati appena il 50,9%. Un risultato piuttosto distante dai trend che di solito osserviamo nei referendum, in cui a votare vanno soprattutto gli elettori più motivati e “convinti”.

Le conseguenze per il Land di Berlino sono relative: l’attuale testo della legge non verrà cambiato. Vedremo però se si registreranno degli effetti nella tattica e nella strategia dei movimenti ambientalisti. Sia a livello locale che a livello nazionale, in una fase in cui la questione della neutralità climatica è centrale sia per la protezione dell’ambiente che per la transizione energetica. Un tema particolarmente sensibile in Germania.

I Verdi in Germania sono al governo, in Italia un eterno incompiuto politico. Come mai?

I Verdi tedeschi sono un partito relativamente giovane (nel gennaio del 2020 hanno compito 40 anni), ma con una solidissima esperienza amministrativa e di governo alle spalle. Da molti anni hanno intrapreso un percorso che li resi più pragmatici che ideologici. Certo, alcuni tabù preconcetti rimangono, ad esempio quello del nucleare. Ma i Grünen sono un partito maturo, “adulto”, pronto a scendere a compromessi e a fare scelte difficili, ad entrare in improbabili alleanze pur di portare avanti la propria agenda, di cui l’ecologismo è una parte cruciale ma non certo l’unica. A livello locale hanno governato e governano sia con la SPD che con la CDU. A livello nazionale sono in una coalizione con un nemico storico come la FDP. Sono segnali di una “cultura di governo” che ormai permea il partito a tutti i livelli. E che forse è uno degli elementi mancanti nel movimento ambientalista italiano.

Che differenze ci sono tra i Verdi “di governo” e gli ambientalisti “di lotta” in Germania?

I Verdi tedeschi sono sempre stati un partito molto litigioso. Dominato dalle tensioni fra i moderati (i cosiddetti Realos, i “realisti”) e i radicali (i Fundis, i “fondamentalisti”). La progressiva crescita, sia numerica che politica, ha portato un po’ più di calma. Soprattutto durante la reggenza di Robert Habeck e Annalena Baerbock, due Realos molto apprezzati però anche dalla corrente più radicale, e si è decisamente visto. Il partito si è mostrato molto più compatto e coeso, facendo virtualmente scomparire tensioni e scontri interni. E secondo molti osservatori questo è stato proprio il motivo principale dietro ai grandi successi elettorali dei Verdi in questi ultimi anni.

A questa formidabile avanzata nelle urne è corrisposta però una progressiva scollatura da una base molto più movimentista e “di lotta”, che a dire il vero non ha mai visto con troppo favore il partito e il suo “compromettersi” con altre forze politiche. Spesso i Verdi al governo devono confrontarsi con feroci critiche che provengono da due direzioni opposte: da una parte l’opposizione conservatrice, ovviamente, ma dall’altra gli attivisti di associazioni come Fridays for Future, secondo cui le misure prese riguardo alla protezione del clima e alla difesa dell’ambiente sono assolutamente insufficienti. Ne abbiamo avuto un esempio con la vicenda di Lützerath, il paesino nel Nordreno-Vestfalia teatro di scontri fra polizia e attivisti ecologisti per l’espansione del bacino minerario della Garzweiler.

In Germania si fanno azioni simili a quelle di Ultima Generazione?

Altroché! Anzi, Letzte Generation è proprio un gruppo di attivisti originariamente nato in Germania, dove sono stati compiuti i primi atti dimostrativi. Il gruppo è famoso in Germania soprattutto per i blocchi stradali – azioni in cui i militanti si siedono sulla strada bloccando il traffico automobilistico, talvolta incollandosi letteralmente all’asfalto. Le scene degli automobilisti inferociti che inveiscono contro gli attivisti, spesso malmenandoli, finiscono sempre sulle prime pagine dei giornali, e hanno innescato numerosi dibattiti nel panorama politico tedesco, fra chi esprime comprensione per la protesta (magari esprimendo qualche riserva sul metodo) e chi invece invoca multe severe e addirittura il carcere per i Klima-Kleber, cioè “chi si incolla per il clima”.